Il napoletano può essere considerato volgare, rozzo e grossolano, ma la verità è che non esiste una variante linguistica più affascinante e interessante. Per di più, non è da sottovalutarne l’origine, essendo anch’essa una lingua, come l’italiano, proveniente dal latino.
A Napoli i nostri vizi , le nostre abitudini, così frequenti da farci cadere spesso nel ridicolo, vengono raccontate alle varie generazioni, con grande franchezza e ironia, allo scopo di trasmetterne una storia, quella delle nostre tradizioni, credenze, ma anche esperienze. E’ così che nascono i proverbi.
Insomma i napoletani “Nun sapen tenè trè cicere mmocca”, non sanno tenere tre ceci in bocca, cioè un segreto, nemmeno quelli riguardanti le loro usanze, usanze che, però, se riflettiamo, alla fine, non si ristringono al solo campo partenopeo, ma ad ogni società, poiché, come si suole dire “tutto il mondo è paese” e i comportamenti umani non variano mai da luogo a luogo.
“E sord’ fann’ venì a vista ai cecati”, (i soldi fanno ritrovare la vista ai cechi), sottolinea l’importanza del denaro e di come molti farebbero follie per avere qualche soldo, debolezza che si ritrova di uomo in uomo.
I proverbi napoletani, però, non sottolineano, solo i nostri vizi, ma anche i nostri valori, come l’amore familiare: “E figl’ so ppiezz’ ‘e còre“, (i figli sono pezzi di cuore), proprio a significare il legame stretto che lega la famiglia. “Ogni scarrafone è bello a mamma soja”, (ogni scarafaggio piace a sua madre), significa che un figlio, bello o brutto che sia, agli occhi della madre è sempre perfetto. In questo proverbio viene usato come emblema quello dello scarrafone, proprio perché animale sgradevole, in particolar modo nella cultura partenopea, ma non c’è niente da fare, agli occhi di mamma scarafaggio, il suo cucciolo sarà sempre un animale perfetto.