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Sartù di riso, dalla corte al popolo

Il sartù di riso, piatto che spesso allieta il palato e le tavole campane del Mezzogiorno, nelle ore di pranzo, ha spazi e origini remoti quanto particolari.

Il riso, arrivato nel Regno di Napoli con la corte del Magnanimo, non ebbe accoglienza presso le tavole del popolo, che continuò a predilire la pasta per questioni di palato ed economiche, dato il costo elevato.

Ancora oggi, infatti, la caratteristica della cucina “povera” napoletana, fatta di elementi essenziali, ne è alla base del suo successo a livello internazionale, come si può osservare dalle numerose modalità di preparazione degli spaghetti.

A far da battesimo al sartù di riso è stata l’influenza gastronomica della corte borbonica nel Settecento, imponendosi sulle tendenze di quella napoletana, presente anch’essa presso la corte.

La moda francese, anche a livello gastronomico, agì nel XVIII secolo, presso la tavola borbonica di Maria Carolina d’Asburgo e Ferdinando IV di Borbone, oltre che sullo stabilizzarsi di una corte identificata con il palazzo-reggia.

I monsù, cuochi transalpini presso la corte borbonica, sperimentarono e riadattarono una pietanza a base di riso, gradito dalla austriaca, Maria Carolina, rispetto alla pasta, aggiungendo al riso ulteriori ingredienti, come funghi, uova sode e latticini.

Per amalgamare, colorare e coprire la nuova miscela di sapori attuata, i monsù adottarono una salsa di pomodoro condita di basilico fresco.

Interessante è anche l’onomastica con cui è stato notificato il piatto.

Stando a quanto ipotizzano gli storici della lingua e i dialettologi, il nome sartù è un forestierismo di marca francese, già rintracciato nella cucina napoletana di stampo settecentesca con piatti quali gattò, cioè lo sformato di patate, oppure per crocché, derivante da croqué.

All’origine del nome è stata ipotizzata la correlazione anche con il surtout, centrotavola di metallo pregiato derivante dalla moda francese della corte di Versailles, adoperato per servire in tavola portate come sformati di patate o timballi.

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."