Se pensiamo alla Sardegna subito ci vengono in mente le sue spiagge selvagge e incontaminate, il suo mare cristallino e al profumo delle erbe aromatiche. Ma questa regione è nota anche per la sua cucina caratterizzata da piatti “poveri” e ricchi di sapori complessi. Uno dei simboli della cucina sarda sono sicuramente le Seadas, il dolce non dolce.
Seadas: orogini
Le seadas sono dolcetti fritti a forma di raviolo. Queste sono amate sia dai locali che dai turisti. Con la loro friabile sfoglia di semola racchiudono all’interno un ripieno a base di pecorino sardo fresco e vengono servite, secondo tradizione, calde con miele di castagno o di corbezzolo.
Le Seadas sono tipiche della zona dell’Ogliastra settentrionale e della Barbagia, ma vengono ormai preparate in tutta la regione.
Come spesso capita per i piatti antichi, anche questo dolce in base alla zona assume nomi diversi: saeda, sebada, sabada, sevada, seatta. Tutti nomi che sembrano derivare dal termine sardo seu, che sta per “grasso”, quindi con molta probabilità fa riferimento allo strutto che viene usato nell’impasto.
Noto come seadas e venduto come tale in tutta la Sardegna e sulle carte dei menù, questo dolce in realtà si chiama seada, in quanto saedas è il suo plurale.
LA SEADA: UN DOLCE NON DOLCE
La seada sarda è un piatto che veniva preparato dalle donne per festeggiare le ricorrenze speciali, il Natale, la Pasqua, o quando i loro mariti pastori rientravano dalla transumanza. Ma la vera sorpresa è che non è un dolce!
Infatti, le seadas erano salate ed erano servite come piatto unico o come secondo.
Anticamente, in origine erano “mannas cantu su prattu”, ossia grandi quanto il piatto in cui erano servite. Ma con il tempo, sono state servite anche come dolce con l’aggiunta di miele al corbezzolo o al castagno. Inoltre sono state ridotte anche le dimensioni ed è che così è nata la seada come la conosciamo noi. Attualmente solo in pochissime zone della Sardegna si conserva ancora la variante salata.