La chiesa di Santa Maria della Pace è parte, insieme ad un ormai dismesso ospedale del XVI secolo ed alla cosiddetta “sala del Lazzaretto“, di un complesso omonimo che affiora proprio nel mezzo del centro storico della città.
Il complesso monumentale di Santa Maria della Pace comprendente l’ospedale dei frati ospedalieri di San Giovanni di Dio, fondato nel 1587, l’omonima chiesa e la sala del Lazzaretto, si erge in via dei Tribunali, poco prima che essa sbocchi sul Castel Capuano, successivamente alla piazzetta Sedil Capuano.
Il complesso nasce dallo sviluppo di un unico edificio, un antico palazzo nobiliare costruito ad opera di Giovanni Caracciolo, presunto amante della Regina Giovanna II, agli inizi del XV secolo, su disegno di Andrea Ciccione. Di esso è ancora riscontrabile l’architettura originale, soprattutto nel portale d’ingresso, in stile gotico con un grande arco polilobato.
La chiesa di Santa Maria della Pace venne progettata da Pietro De Marino. I lavori presero avvio nel 1629 e furono conclusi nel 1659, anno in venne sancita la pace tra Luigi XIV di Francia e Filippo IV di Spagna, motivo per il quale il tempio venne consacrato a santa Maria della Pace.
La chiesa presenta una struttura a croce latina, costituita da una sola navata, presentando però tre cappelle per lato. La struttura è stata più volte rimaneggiata nel corso della storia, spesso per interventi strutturali necessari, come ad esempio il restauro dell’interno che avvenne dopo il terremoto del 1732, e fu ad opera di Domenico Antonio Vaccaro.
Più mani lavorarono alla struttura, di Donato Massa, ad esempio, è l’impiantito in cotto e le splendide piastrelle maiolicate, disegnate dallo stesso Vaccaro, l’abside è di Nicola Tagliacozzi Canale.
Sul lato sinistro della chiesa si apre un portale a tutto sesto, databile intorno ai primi anni del XV secolo, elemento originale del Palazzo Caracciolo, che permette di accedere ai chiostri dell’ospedale e del convento. Si passa dal primo chiostro, seicentesco, al secondo, costruito nella seconda metà del XVIII secolo, la cui particolarità è quella di presentare il piano ad un livello inferiore rispetto a quello dell’ambulacro che gira sotto il suo porticato.
Nel passaggio tra i due chiostri è collocata una iscrizione particolare DIO M’ARASSA/DA INVIDIA CANINA/DA MALI VICINI, ET/DA BUGIA D’HOMO DA BENE.
Secondo l’analisi di Benedetto Croce si tratterebbe della testimonianza di un uomo, il quale risiedeva lì e che fu condannato a morte sulla base di una falsa testimonianza, originatasi da un moto di invidia di un vicino. Si pensa che costui, prima di essere portato al patibolo, avesse lasciato tutti i propri averi alla struttura in cambio dell’esposizione di quella lapide-denuncia perpetua.
È parte del complesso anche una particolare sala, detta “Sala del Lazzaretto”, la quale aveva una particolare funzione. Un vero e proprio sudario di pietra teatro di morte e disperazione della Napoli dei secoli XVII e XVIII, è oggi un gioiello di rara bellezza dell’architettura napoletana. La sala viene definita “del Lazzaretto” perché in questo luogo, come in altri pochissimi luoghi della città, venivano accolti i malati infetti, come ad esempio lebbrosi, appestati.
Per accedervi bisogna utilizzare un grande scalone, la cui entrata è sulla sinistra del vestibolo. La sala è di importanti dimensioni, lunga 60 metri, alta 12 metri e larga 10. Sulla parete in fondo ad essa è possibile ammirare l’altare in marmo del XVIII secolo, antico elemento di separazione tra l’ambiente principale ed il gabinetto medico, è presente inoltre un altro elemento architettonico fondamentale, il ballatoio, il quale corre lungo tutte le pareti. Posto a mezza altezza, in origine veniva utilizzato per servire cibo e bevante agli ammalati senza rischiare il contagio.
La sala è stata parte integrante del vecchio nosocomio, almeno fino al 1970 quando l’impianto ha cessato l’attività ospedaliera divenendo edificio storico tutelato dalla Sovrintendenza dei Beni ambientali.
All’interno della struttura si trovano gli affreschi di Andrea Viola e Giacinto Diano raffiguranti la Vergine Maria e i Santi dell’Ordine di San Giovanni di Dio, i quali sono collocati sia sotto la volta che tra le finestre. Uno splendido ciclo di affreschi ricco di storia collocato laddove, fino agli anni Settanta del Novecento, trovavano collocazione i letti per i degenti.
Nel cuore del complesso si erge in tutta la sua maestosità anche l’ex Ospedale dei frati Ospedalieri di San Giovanni di Dio, noto al popolo partenopeo con il nome di Ospedale della Pace.
La struttura, così come il resto del complesso, presenta quell’insieme di elementi propri dell’architettura gotica.
L’Ospedale era proprietà dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, in latino Ordo Hospitalarius Sancti Ioannis de Deo, esistente ancora oggi. Esso gestisce nel mondo più di duecento strutture sanitarie. L’Ordine nasce dall’operato di San Giovanni di Dio, che nella prima metà del XVI secolo svolse in Spagna il suo apostolato a sostegno degli infermi e dei bisognosi. Morto nel 1550, la sua schiera di discepoli intraprese un processo di diffusione del messaggio di carità e di ospitalità proprio del Santo, fondando varie strutture, sia in Europa che in altri continenti. L’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio è un istituto di vita consacrata cattolico, conosciuto popolarmente con il nome di Ordine del Fatebenefratelli, dalla consuetudine del fondatore, nonché dei primi compagni, di invitare i benefattori a collaborare economicamente alle opere di carità dell’ordine pronunciando la “formula” “Fate del bene a voi stessi, fratelli, per amore di Dio”.
L’Ospedale di Santa Maria della Pace nasce nel 1587 ad opera dei frati Pietro Soriano e Sebastiano Arias, così nominato affinché la Vergine potesse salvare tutti i cristiani e dare loro la pace.
All’epoca della fondazione esso rappresentava un luogo unico al centro della città di accoglienza per i malati infetti.
Oggi, l’ormai ex Ospedale della pace, è stato dismesso, rendendo la struttura sede amministrativa. Nel corso del 2009 il complesso è stato dichiarato Patrimonio dell’Unesco.
In conclusione del nostro excursus, non è possibile omettere un dettaglio riguardo il complesso monumentale di santa Maria della Pace, ossia il suo ingresso nel linguaggio comune. Si usa infatti, ancora oggi, paragonare una persona particolarmente lamentosa, la quale, per farsi commiserare, denuncia anche malanni immaginari, all’Ospedale della Pace, per mezzo di un detto che suona pressappoco così: “Me par ‘ospital a pace”.