Peter Paul Rubens (Siegen, 1577 – Anversa 1640), soggiornò a Roma, che lasciò, senza mai più tornarvi, nel 1608 dopo aver concluso l’altare della Chiesa Nuova.
Definito dallo storico dell’arte del secolo scorso Giuliano Briganti, il ‘padre spirituale’ di quegli artisti italiani, tra cui Gian Lorenzo Bernini, che con le loro opere avevano sostenuto la maestà del pontificato di Urbano VIII (1623-1644), Rubens, durante il periodo romano, lasciò con la sua arte rivoluzionaria un’importante impronta all’interno del panorama artistico italiano, in particolar modo in quel periodo dell’arte che etichettiamo come ‘Barocco’.
Il racconto di questa rivoluzione artistica è in scena alla Galleria Borghese di Roma in una mostra intitolata “Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma” a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato, fino a febbraio 2024.
Con oltre 50 opere provenienti dai più importanti musei al mondo, tra cui il British Museum, il Louvre, il Met, la Morgan Library, la National Gallery di Londra, la National Gallery di Washington, il Prado, il Rijksmusem di Amsterdam, solo per citare alcuni.
La mostra è divisa in otto sezioni:
SEZIONE I – IL MITO DEL BAROCCO
Questa sezione non intende fermarsi al ‘mito del Barocco’ e alla definizione teorica di un’etichetta a cui sfugge ancora oggi a una definizione univoca negli studi, ma leggere le componenti di questo linguaggio europeo nel suo formarsi e nel suo primo propagarsi, tra la riscoperta della Natura (nel “Prometeo incatenato” di Philadelphia, in collaborazione con Frans Snyders) e la riscoperta dell’Antico (diversi i disegni nel percorso, tra cui quello realizzato dal pittore a Roma a partire dal “Centauro Borghese”, ora al Louvre).
Rubens seppe infatti dare avvio a una nuova codificazione iconografica di soggetti mitologici e storici, a partire da un’attenta rilettura del patrimonio rinascimentale italiano e della statuaria antica (ad esempio “Studio dal Vaso Borghese”).
SEZIONE II – RUBENS E LA STORIA
La storia antica non è per Rubens solo un soggetto letterario. È anche un continuo esercizio esegetico delle iconografie e degli oggetti che attestano le usanze dei romani e dei greci.
Con l’erudito seicentesco Nicolas-Claude Fabri de Peiresc le indaga in ricchi scambi epistolari e di materiali grafici, che aggiornano di continuo quanto il pittore aveva potuto apprendere negli anni della formazione italiana.
Episodi descritti dagli storici antichi vengono trasformati così da Rubens in pitture e arazzi, dove sono restituiti con accuratezza antiquaria armature, cimieri, scudi, calzari e insegne.
La storia antica permette a Rubens anche di commentare il presente. Lo scoppio nel 1618 della Guerra dei Trent’Anni, di cui l’artista non vedrà la fine, devasta l’Europa e mette a dura prova proprio i Paesi Bassi Spagnoli, dove soggiorna.
Gli intensi sforzi diplomatici di Rubens alla fine degli anni venti del Seicento lasciano traccia anche nella sua produzione pittorica.
Nell’”Allegoria della Guerra” di Liechtenstein, una figura femminile ‘all’antica’ in primo piano esprime il suo intenso dolore davanti a una battaglia attualissima, forse addirittura studiata dall’artista dal vero nel corso di uno dei suoi viaggi da Anversa a Madrid.
SEZIONE III – CORPI DRAMMATICI E SEZIONE IV – CORPI STATUARI
Centrale nella produzione pittorica di Rubens è la grammatica del corpo umano: studiato dal vero, indagato a partire dall’Antico (come in “San Sebastiano guarito dagli angeli della Galleria Corsini) e interpretato alla luce della lezione dei maestri del Rinascimento, alcuni nomi dei quali spiccano per importanza.
L’ipertrofia muscolare degli eroi rubensiani è contagiosa (è un esempio il “Sansone arrestato dai Filistei” di Monaco).
Forse perché suggerite dallo studio delle medesime statue antiche, tra cui il Laocoonte e l’Ercole Farnese, ma anche per l’attenzione di Rubens rivolta all’indagine anatomica di Leonardo.
SEZIONE V – RUBENS E CARAVAGGIO E SEZIONE VIII – RUBENS E TIZIANO
Il focus della mostra non è concentrato esclusivamente sulla nuova concezione dell”Antico’ da cui emerge la novità dirompente dell’approccio del pittore alla scultura romana e contemporaneamente, ma anche sulla sua capacità di rileggere esempi rinascimentali e confrontarsi con i contemporanei.
Una nuova grammatica artistica che, grazie alla collezione Borghese e ai prestiti, dialoga non solo con Bernini ma con alcuni dei grandi maestri della pittura italiana: Caravaggio, Leonardo e Tiziano.
“Attraverso gli occhi di un giovane pittore straniero cerchiamo di ricostruire il ruolo della collezione Borghese come motore del nuovo linguaggio del naturalismo europeo, che unisce le ricerche di pittori e scultori nei primi decenni del secolo” dice Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria e curatrice della mostra.
Fu Rubens a insistere con Vincenzo Gonzaga perché acquistasse la controversa “Morte della Vergine”, oggi al Louvre, che Caravaggio aveva eseguito per Laerzio Cherubini in Santa Maria della Scala nel 1605.
L’interesse di Rubens per Caravaggio si misura anche in un campo d’azione più specificatamente artistico.
Particolare interesse, suscita in lui la “Deposizione nel sepolcro”, la pala d’altare per la cappella Vittrice nella Chiesa Nuova degli Oratoriani a Roma, oggi ai Musei Vaticani, eseguita fra il 1601 e il 1602.
Si può qui vedere il disegno di Rubens dalla “Deposizione”, in prestito dal Rijksmuseum di Amsterdam, che cattura le espressioni dei personaggi intensificandole.
Durante il suo soggiorno alla corte spagnola, fra il 1628 e il 1629, Rubens eseguì numerose copie da Tiziano, pittore che non si stancò mai di osservare, nei suoi viaggi alla scoperta dell’Italia nel primo decennio e ogni volta che riuscì ad averne l’occasione.
Nella stanza dell’”Amor sacro e Amor profano”, capolavoro giovanile di Tiziano, le curatrici della mostra hanno voluto mettere in risalto questo legame tra i due artisti (lo si vede nel “Giudizio di Paride” del Prado).
SEZIONE VI – LA NASCITA DELLA SCULTURA PITTORICA
Questa sezione è incentrata sul rapporto tra Rubens e Bernini che, ancora oggi, continua a restare sfuggire agli studi.
Sappiamo che negli anni trenta del Seicento, mentre dimora con la seconda moglie Helena Fourment nella tenuta di Het Steen, vicino ad Anversa, il pittore non perde occasione per informarsi su quanto sta succedendo in Italia, dove Bernini ha appena innalzato il Baldacchino di San Pietro ed è l’artista di riferimento di Urbano VIII.
Per Rubens l’attenzione alla scultura non è solo un problema antiquario, ma coinvolge anche lo studio di oggetti plastici diversissimi tra loro: moderni come antichi, marmorei come metallici, statuari quanto numismatici.
Più complesso è capire in che modo Bernini si accosta negli anni venti, mentre è al lavoro ai gruppi borghesiani, alle novità rubensiane.
In questa sfida tra le due arti, l’artista fiammingo dovette apparire allo scultore italiano come il campione di un linguaggio pittorico estremo, con cui confrontarsi: per lo studio intenso della natura (esemplari i suoi disegni di “Leoni”).
SEZIONE VII – IL TOCCO DI PIGMALIONE
Il rapporto di Rubens con l’’Antico’ è messo in risalto anche in questa sezione.
In due fondamentali pagine latine del suo trattato frammentario “L’imitazione delle statue”, l’artista fiammingo spiega come avviene questo processo ‘transmediale’, ovvero di trasposizione di valori formali da una scultura a una pittura.
Da evitare era innanzitutto l’imitazione pedissequa del modello antico, che avrebbe portato alla raffigurazione di statue dipinte, invece di soggetti ripresi dal vero..
L’’Antico’ da cui prende le mosse Rubens è realtà già vitale. Si tratta di frammenti che sono stati integrati da restauri interpretativi importanti (come nel caso del “Seneca morente” del Prado).