Dopo l’ok del Cdm dello scorso 8 luglio, attesa in aula il 23 luglio la Riforma Cartabia.
Diversi ancora i nodi da sciogliere, molte le perplessità non solo della scena politica , ma anche di alcuni giuristi.
La riforma si pone l’obbiettivo di ridurre del 25%, entro i prossimi cinque anni, i i tempi della durata del processo penale nel nostro paese, abbattendo soprattutto l’imbuto della fase di appello che dura mediamente 850 giorni contro uno standard europeo di 104 giorni. La sfida è portare tutte le 29 corti di appello a rispettare un limite di due anni, oggi sforato da 10 uffici.
A creare però maggior divisione tra le forze politiche è il nodo sulla prescrizione.
Il disegno di legge prevede che durante il primo grado, la prescrizione, decorra regolarmente, mentre ci sarebbero 2 anni in appello per celebrare il processo e 1 anno per il giudizio di Cassazione. Se il timing non viene rispettato il processo si ferma, diventa “improcedibile”.
Si prevede che i tempi si possano allungare di un ulteriore anno per l’appello e di sei mesi per la cassazione.
Secondo l’Associazione nazionale magistrati, sono 150mila i processi che in appello finirebbero nella ‘tagliola’ per il contingentamento dei tempi.
In una dichiarazione rilasciata dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, davanti alla commissione giustizia della Camera, il procuratore ha manifestato i suoi dubbi sulla riforma, ritenendo che non solo i processi di mafia, ma anche i reati contro la Pubblica Amministrazione possano restare impuniti.
Sui tempi stretti però, sembrano, inamovibili gli esponenti del M5s che temono che tempi di giustizia lunghi portino ad impunità dei reati, specie quelli di corruzione.
Una mediazione è quindi d’obbligo, tra le varie forze politiche, specie su questo punto. La riforma Cartabia, infatti, così com’è incontra l’opposizione della Lega e di Fratelli D’Italia
Si punte, inoltre, a diminuire il numero degli accessi in carcere, per pene inferiori ai 4 anni l’ipotesi è che si possano prevedere gli arresti domiciliari.