Protagonista indiscusso della domenica sulle tavole della Campania, il ragù napoletano è tra i sughi più buoni della cucina italiana, famoso in tutto il mondo.
La tradizione vuole che le nonne e le mamme si sveglino la domenica all’alba per iniziare la lunga preparazione del ragù.
Nel sugo non vi è la carne macinata ma pezzi interi di manzo da farcire, arrotolare e chiudere, formando dei grossi involtini, i quali poi verranno uniti a costine di maiale in un tegame di terracotta basso e largo, o di rame.
La cottura del ragù napoletano è molto lunga e deve essere fatta rigorosamente a fuoco basso. Il tempo di cottura è di 6/7 ore.
La fase più importante della preparazione del sugo è la cosiddetta “peppiatura”, l’ultima fase della cottura. In questa fase il ragù sobolle lentamente, con il coperchio tenuto leggermente alzato da un mestolo di legno, così da creare un piccolo circolo d’aria che favorisce una delicata cottura
Le origini del ragù napoletano
Le origini del piatto sono molto antiche. Il tipico ragù napoletano sembra derivi da un piatto della cucina popolare medievale provenzale, risalente al XIV secolo, chiamato “daube de boeuf” (uno stufato di carne di bue mescolato a verdure e cotto lungamente in un recipiente di creta). Ma è dal ragout, dal quale deriverebbe direttamente il ragù napoletano.
Questo è, invece, un piatto francese posteriore sempre a base di carne e verdure.
Questo piatto appare nella cucina napoletana solo intorno al XVIII secolo con il regno di Ferdinando IV di Borbone.
Infatti, in questo periodo vi fu una grande influenza della cultura e della moda francese a corte, ragion per cui molti piatti napoletani hanno dei nomi che sembrano derivare dal francese, ma che in realtà sono delle storpiature. Questo è il caso del ragù (ragout), o del gattò (gateau), e ancora il sartù (surtat).
LA LEGGENDA DEL RAGÙ
Al ragù è legata anche una famosa leggenda.
Alla fine del 1300 a Napoli esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia che era solita percorrere la città a piedi invocando “misericordia e pace”. La compagnia giunse presso il “Palazzo dell’Imperatore” in via Tribunali: all’epoca vi viveva un signore nemico di tutti.
La compagnia convinse l’intera popolazione a rappacificarsi con i propri nemici, ma solo il nobile che risiedeva nel “Palazzo dell’Imperatore” decise di non accettare l’invito dei Bianchi, continuando a nutrire antichi e tenaci rancori. Secondo la leggenda il nobile non cedette neanche quando il figlio di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce ed incrociandole gridò tre volte: “Misericordia e pace”.
Il nobile, accecato dall’ira, serbava rancore e vendetta. Ma un un giorno la moglie gli preparò un piatto di maccheroni. La provvidenza riempì il piatto di una salsa piena di sangue. Commosso dal prodigio, il signore si rappacificò con i suoi nemici e vestì il bianco saio della Compagnia.
Sua moglie in seguito preparò di nuovo i maccheroni, che anche quella volta, come per magia, divennero rossi. Il signore decise così di chiamarlo come suo figlio, “raù”.