Ragù napoletano e bolognese. Storia e tradizione. Il termine ragù è l’italianizzazione del vocabolo francese ragôut.Ma non ha un significato preciso. A differenza del sartù, altro piatto tipico della tradizione napoletana , il timballo di riso ripieno di ragù di carne che discende dal francese “surtout” (su tutto). Anche il ragù è nato dunque in Francia.
Ma il termine si riferiva a uno stufato di piccoli pezzi di carne dalla lunga cottura (ovviamente senza pomodoro, all’epoca sconosciuto in Europa) che cominciò a diffondersi in Italia nel Medioevo, quando gli Angioini arrivarono a Napoli con i loro monzù. Dal francese monsieur (signore) con questo termine dialettale in napoletano si indicavano i capocuoco delle case aristocratiche meridionali.
L’italianizzazione del termine ragôut avvenne solo in epoca fascista, quando il diffuso nazionalismo vietò l’uso di vocaboli stranieri . Poi dal dopoguerra sarebbe rimasto ragù entrando definitivamente nel nostro vocabolario
Breve storia del ragù
Ma ritorniamo indietro nel tempo. Dal Medioevo in poi iniziarono a comparire le varianti del ragù. Nel 1773 fu il cuoco Vincenzo Corrado a descrivere la prima variante napoletana dello stufato francese e a definirla peraltro come un semplice condimento.
Fino a tutto il Settecento con ragoût si indicava uno stufato di carne in un intingolo, diventato intanto di moda sulle tavole aristocratiche della penisola . Era questo il ragoût che a Napoli veniva mangiato alla corte di Ferdinando IV di Borbone . Ma negli stessi anni, per il cuoco di Luigi Chiaramonti, vescovo di Imola ( e futuro Papa Pio VII) era invece un condimento. Ambedue comunque senza pomodoro.
La prima descrizione dei «maccheroni alla Napolitana» in cui, oltre a pepe, parmigiano e sugo di carne, l’autore consiglia un’aggiunta di salsa di pomodoro, risale alla fine del Settecento ne L’Apicio Moderno di Francesco Leonardi. Tuttavia è stato poi il gastronomo emiliano Pellegrino Artusi nel 1891 a descrivere la prima ricetta del ragù della bolognese nel suo celebre libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Con soffritto, carne di vitello e maiale.
Il ragù nella letteratura
«Il ragù non si cuoce, si consegue, non è una salsa ma la storia e il poema di una salsa», scriveva Giuseppe Marotta in L’oro di Napoli. Mentre Eduardo De Filippo in Sabato, domenica e lunedì, racconta la ricetta come una fiaba col seguente incipit : «Fin dalle primissime ore del mattino un tenero vapore si congeda dai tegami di terracotta… “ Ma l’apoteosi letteraria è la poesia ‘O rraù di Eduardo De Filippo
‘O rraù ca me piace a me
m’ ‘o ffaceva sulo mammà.
A che m’aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
Io nun sogno difficultuso;
ma luvàmell”a miezo st’uso.
Sì, va buono: cumme vuò tu.
Mò ce avèssem’ appiccecà?
Tu che dice? Chest’è rraù?
E io m’a ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià…
M’ ‘a faje dicere na parola?
Chesta è carne c’ ‘a pummarola.
Il ragù bolognese
Ai bolognesi in effetti va dato il merito di aver preservato questa grande invenzione gastronomica, e di averlo reso «il condimento perfetto per la tagliatella» . Nel 2021 alla Camera di Commercio di Bologna, è stata depositata la nuova ricetta del ragù o, meglio, una rivisitazione di quella depositata precedentemente, nel 1982.
La nuova ricetta prevede polpa di manzo macinata grossa, pancetta fresca di maiale a fette, mezza cipolla, carote, sedano, vino rosso o bianco, passata e concentrato di pomodoro, latte , brodo, olio sale e pepe.
La differenza rispetto alla precedente è che non prevede la cartella, il diaframma del manzo, ormai introvabile. Nello stesso documento, la Camera di Commercio bolognese ha specificato inoltre quali sono le varianti di carne ammesse (tra le tante un misto di manzo e maiale), quelle non ammesse (per esempio polpa di vitello)
Il ragù napoletano
Il ragù napoletano è una leggenda culinaria . Pur non essendoci una ricetta codificata , per tradizione i pezzi di carne più usati sono le cotiche (involtini di cotenna di maiale) il gamboncello (una parte del vitello) le tracchie (costine di maiale) , le braciole (involtini di carne di manzo imbottiti con aglio, prezzemolo e formaggio) la gallinella (sopracoscia di maiale) Anche se ci sono numerose varianti nelle singole famiglie, persino con salsicce e polpette che farebbero inorridire i puristi.
Il tutto viene cotto in una casseruola con olio extravergine e cipolla prima di essere amalgamata con la passata di pomodoro San Marzano per almeno 5-6 ore.
Data la lunga cottura nella tradizione partenopea si inizia preferibilmente la domenica mattina presto, per concludere la bollitura del ragù per l’ora di pranzo.In tempo per l’arrivo di parenti e amici, trattandosi di un prodotto abbondante e in grado di soddisfare un ampio numero di commensali.
La lunga bollitura serve al grasso del maiale per sciogliersi e dare un sapore inconfondibile al sugo, e contemporaneamente alla carne per diventare morbidissima. Per i napoletani il ragù per essere buono deve “pippiare” .Termine onomatopeico che allude a una tirata di pipa e si riferisce al tipico suono della pentola col ragù in ebollizione.
Le differenze tra i due ragù
Ragù napoletano e bolognese. Storia e tradizione. Riepiloghiamo le differenze tra i due ragù. La ricetta originale di Bologna ha come elemento base la carne macinata di manzo. Nella variante napoletana del ragù , invece, una miscellanea di pezzi di carne .Il bolognese si abbina alle tagliatelle, il napoletano agli ziti spezzati (maltagliati) o in alternativa rigatoni.
Il ragù bolognese deve bollire per almeno 2 ore, mantenendo una cottura a fuoco lento e avendo premura di aggiungere del brodo vegetale di sedano, carote e cipolla .La pentola deve essere grande. A Napoli, invece, la tradizione vuole che la preparazione del ragù (che a differenza del bolognese non prevede verdure) necessiti di circa 6 ore per una cottura completa. Data la grande quantità di carne che viene cotta contemporaneamente e di quindi di un adeguato quantitativo di salsa occorrente (almeno 3-4 litri) è necessaria una casseruola ( a’ tiana) , preferibilmente in rame o alluminio ( o se possibile in terracotta). Il contenuto va girato rigorosamente con la cucchiarella di legno (che serve anche per appoggiare il coperchio e lasciar passare il vapore).
Per ottenere un sugo alla bolognese perfetto è preferibile l’uso della passata di pomodoro. Sono quindi da evitare la salsa, i pelati e i pomodori freschi. Nella variante napoletana viene invece utilizzato il pomodoro San Marzano e alla passata è aggiunto un cucchiaio di concentrato per rinforzarne il sapore.
Da slow food a fast food
In buona sostanza siamo davanti a due concetti diversi di ragù . Il ragù bolognese (con le tagliatelle) è diventato un primo piatto internazionale che si trova nei menù di tutti i ristoranti. Ed è un primo piatto e basta. Il ragù napoletano invece, essendo più complesso ed elaborato, è un piatto prevalentemente familiare che difficilmente (anche a Napoli) si mangia al ristorante.
Dopo averne condito la pasta (come primo piatto) serve anche per secondo piatto ,che consiste come abbiamo visto in un tripudio di carne suina e bovina. Oggi con la velocità della vita moderna e col diffondersi della cucina vegetariana, oltre alla demonizzazione nutrizionistica delle carni e dei grassi, è diventato raro sentirne l’odore il sabato sera o la domenica mattina negli androni dei cortili napoletani.
In realtà il ragù napoletano è un mito, una leggenda gastronomica .Quasi un antesignano dello slow food . Eppure proprio a Napoli, a fronte del crescente afflusso turistico qualcuno ha avuto l’idea di trasformarlo in un piatto da street e fast food, servito da alcuni locali del centro storico per essere mangiato in piedi. Il grande Eduardo si starà rivoltando nella tomba.