La nazionale italiana si qualifica come prima classificata, con tre turni di anticipo, al più nomade degli europei. Si svolgerà infatti con formula itinerante, mai provata prima, in dodici delle più importanti città del vecchio continente e precisamente a Roma, Copenaghen, Bucarest, Amsterdam, Dublino, Bilbao, Budapest, Londra, Glasgow, Baku, San Pietroburgo e Monaco di Baviera. Sembra uno spot pubblicitario di un mega-tour per turisti, questa edizione 2020 a cui parteciperanno 24 squadre e che vivrà il suo primo atto all’Olimpico di Roma, che sabato scorso ha fatto le prove generali ad un inaugurazione, quella del 12 giugno del prossimo anno, che certamente regalerà emozioni forti. Le restanti due partite del gruppo J, che ancora si devono giocare, con Liechtenstein (5-0) è stata una passeggiata di salute utile ai pargoli, protagonisti in divenire , Bosnia e Armenia a novembre, dovranno servire al C.T. Roberto Mancini, allo scopo di provare nuove soluzioni, così da rendere più imprevedibile l’Italia e temprarla maggiormente per le sfide che richiederanno più capacità sia nella fase difensiva che offensiva. A dirla tutta infatti, il girone di qualificazione degli azzurri (sabato con una inusuale quanto inappropriata maglietta verde) se ha regalato solo vittorie, tanto che nel prossimo incontro, si può addirittura superare il record della nazionale di Vittorio Pozzo (otto vittorie consecutive), non si è distinto per averci contrapposto avversari molto dotati tecnicamente e l’unica, la Bosnia, che sotto quell’aspetto poteva crearci dei grattacapi, non ha saputo farsi valere, difettando, particolarmente, nella costanza di rendimento, come la sconfitta di martedì in Grecia (2-1) testimonia. Quindi bravura del tecnico e anche dei suoi ragazzi si, ma giudizio definitivo da dare, in attesa di test più probanti. La cosa che ci piace del lavoro del selezionatore è la fiducia che ha accordato a molti calciatori giovani, che hanno difficoltà pure a giocare nelle loro squadre di club e che non per questo debbono rinunciare alla chance “maxima”, direbbero gli argentini e cioè quella di giocare per i colori del proprio paese. La mentalità, inoltre, che le ha infuso Mancini è da squadra maschia (mi perdoni il “fu” maestro Gianni Brera, padre di questa metafora), che prova a prendere possesso del centrocampo e non si limita a subire gli eventi. Una quasi-novità di questo tecnico, che solo Cesare Prandelli, alcuni anni fa e il profeta di Fusignano, Arrigo Sacchi nel suo quinquennio da commissario, provarono ad instillare nella nostra selezione. Le due nazionali campioni del mondo infatti (1982 e 2006) seppure superbe e guidate in modo impeccabile rispettivamente da Bearzot e da Lippi traevano forza dalla difesa ( oggi si deve parlare di “fase difensiva”)e regalavano spettacolo, abbinandogli pure i successi, per la gioia dell’anima femmina che le loro squadre possedevano.