I profughi ucraini giunti finora in Italia sono 55.711. Di questi, 28.537 sono donne, 4.776 uomini e 22.398 minori. Le città di destinazione dichiarate all’ingresso in Italia sono tuttora Milano, Roma, Napoli e Bologna.
È soprattutto a donne e bambini che il Viminale intende fornire particolari soluzioni di accoglienza.
L’allarme è altissimo e lo hanno lanciato tutte le più grandi organizzazioni che si occupano di migrazioni e di infanzia, dall’Unicef a Save The Children, dall’Unhcr fino a Telefono Azzurro. Da quando è iniziata la guerra in Ucraina si sono messi in marcia verso la salvezza oltre tre milioni e mezzo di profughi e di questi un milione e cinquecentomila sono bambini. Ogni giorno, settantamila minori, ha calcolato l’Unicef, “diventano profughi, quasi uno al secondo”.
Una enorme massa di piccoli e piccolissimi, in gran parte in viaggio con madri o nonne, ma spesso anche affidati da genitori disperati a convogli che vanno verso i confini di Romania e Polonia, dove arrivano da soli e senza parenti. “Il rischio che alle frontiere chi non è protetto da una rete familiare finisca in un circuito di tratta e di pedofilia è alto e riguarda sia le donne che i bambini”, spiega Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia. Orchi, trafficanti di esseri umani, “passeur” senza scrupoli sono pronti ad approfittare della tragedia ucraina, avvoltoi rapaci di ogni grandi crisi umanitaria. Abbiamo avuto segnalazioni di minori scomparsi nel viaggio dall’Ucraina verso le frontiere. E alcuni casi di sparizione ai confini. Per adesso, invece, i flussi in Italia sono controllati e per la gran parte di bambini che arrivano senza parenti riusciamo a ricostruire reti familiari nel nostro paese o in Europa”.
I diritti delle donne negati dalla guerra
Gli ultimi attacchi devastanti, con bombe e missili, arrivano dal cielo. Ma la battaglia è anche per le strade, nelle case e nei rifugi dove sono rimaste le mamme con i loro bambini e le giovani con il compagno in guerra. «Donne ucraine stuprate e uccise dai soldati», è la denuncia di Olha Stefanishyna. È lei, donna numero due del governo di Kiev a 36 anni, a dare voce alla violenza che si accanisce sui più vulnerabili. Fino a ora si trattava di frammenti di racconti, storie raccolte tra le macerie.
Una guerra di diritti ne spazza via parecchi, quasi tutti. Però ci sono diritti che trovano spazio nelle narrazioni dei conflitti e altri che restano a margine, magari perché non sembrano costituire una violazione così grave della persona umana, soprattutto se quella persona è una donna, considerata solo una comparsa rispetto allo scontro armato. Donne “del nemico” abusate, stuprate, rapite, una conseguenza storica costante, eppure sempre in secondo piano. Dichiarazioni difficili da verificare, soprattutto quando l’occhio della legge è impegnato a guardare tutt’altri crimini. Proprio perché gli abusi si inseriscono in una cornice di guerra, la giustizia non ha mai bussato alla porta di chi ha reso i corpi delle donne campi di battaglia.