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Processo a Baudelaire. Le sei poesie (con)dannate

Processo a Baudelaire. Le sei poesie (con)dannate. I Fiori del Male rappresentano una dei capolavori della letteratura di tutti i tempi. L’autore è Charles Baudelaire, il poeta maledetto per antonomasia, considerato da molti  il Dante dell’età moderna, o comunque  il padre della poesia moderna.

Nel suo capolavoro ci sono amore e morte, paradiso e inferno, luce e tenebre, bene e male. Romanticismo e decadentismo, simbolismo e modernismo. Ancora oggi ,a distanza di oltre 150 anni, è sempre ai vertici nelle classifiche dei libri di poesia più venduti.

Ma quando fu pubblicato in prima edizione nel 1857, si scatenò nella Parigi del tempo un’ondata di critiche feroci. Baudelaire intendeva  “estrarre la bellezza dal male” ma la raccolta a partire già dal titolo fu giudicata scandalosa e provocatoria.

Temi quali  la morte del corpo e la sua decomposizione, il satanismo, l’amore mercenario, l’apologia dell’ alcool e dell’oppio, la vita notturna parigina con i suoi eccessi e le sue trasgressioni. Troppo per  la Direzione della Sicurezza Pubblica che denunciò l’opera per oltraggio alla morale pubblica e offesa alla morale religiosa. Baudelaire e gli editori vennero condannati a pagare una multa e a sopprimere sei  liriche definite oscene e  immorali.

Nell’atto di accusa del  Tribunale della Senna, si legge che «vi sono momenti in cui si dubita della salute mentale del signor Baudelaire… L’odioso è gomito a gomito con l’ignobile, il ripugnante si allea con l’infetto. Mai si sono visti mordere, e perfino masticare, tanti seni in così poche pagine; mai si è assistito a una simile rassegna di demoni, feti, diavoli, clorosi, gatti e parassiti».

Nel 1861 fu stampata in 1500 esemplari la seconda edizione dei Fleurs du Mal, con 35 poesie nuove ma senza le sei liriche censurate. Che ricomparvero nel 1866 a Bruxelles in un libriccino intitolato Les Épaves.

Lesbo

// Lesbo dove le Frini s’attirano l’una l’altra, / dove mai un sospiro restò senza eco, / come Pafo le stelle t’ammirano, / e Venere ha ben diritto d’esser gelosa di Saffo! / Lesbo dove le Frini s’attirano l’una l’altra, // Lesbo, terra di notti calde e languide, / che portano ai loro specchi, sterile voluttà, / le fanciulle dagli occhi infossati, innamorate dei propri corpi, / a carezzarsi i frutti maturi della loro verginità/…

Sono i primi versi del componimento ispirato alla poetessa Saffo e all’isola di Lesbo che avrebbe dato il suo nome all’amore omosessuale femminile. L’eros saffico esclude il maschio, e Baudelaire mostra il suo interesse su questa tematica forse anche a causa del rapporto conflittuale avuto da giovane col patrigno, autoritario e invadente.

Un rapporto tra le sacerdotesse idealizzato fin quasi a sacralizzarlo nel quale  a condurre il gioco è solo l’attrazione reciproca e lo scambio dei ruoli. Aldilà di ogni codice morale o autorità maschile. Nei versi successivi il paragone tra Saffo e Venere ,quest’ultima invece sensibile al fascino maschile, sottolinea  la superiore  fisicità spirituale della poetessa, seppur meno bella della dea.

Donne dannate. Ippolita e Delfina

//Alla pallida luce di lampade languenti, / su profondi cuscini tutti impregnati di profumi, / Ippolita sognava le carezze possenti / che alzavano il sipario sul suo giovane candore. // Ella cercava, con l’occhio intorbidito dalla tempesta, / il cielo ormai lontano della sua ingenuità, / come il viaggiatore che rivolge il capo / verso gli azzurri orizzonti oltrepassati al mattino/..

Sono i primi versi della seconda poesia dedicata allo stesso tema della precedente. In questa poesia Baudelaire rimarca ripetutamente il contrasto tra mascolinità ,che considera rozza e animalesca, e femminilità. Delfina ,sicura di sé e delle proprie tendenze, che ha puntato e raggiunto la sua preda. Ippolita, che al contrario appare indecisa seppur soggiogata dalla sua personalità prorompente.

Delfina se ne accorge e la blandisce per convincerla che la sua scelta è giusta( I miei baci sono leggeri come quelle farfalle / che carezzano la sera i grandi laghi trasparenti, / e quelli del tuo amante scaveranno i loro solchi / come fossero carri o vomeri laceranti; // e passeranno su di te come un pesante tiro / di cavalli o di buoi dagli zoccoli spietati)

Il Lete

In questo componimento Baudelaire si immagina al capezzale del suo amore morente. Mai come in questi versi eros e tanathos sono mirabilmente e terribilmente intrecciati. Le acque del Lete, che il Poeta trova nei baci dell’amata, lo conducono tuttavia nell’ auto-annientamento nel momento in cui si riconosce come un tutt’uno con il corpo immobile e morente dell’amata.

..//Vieni sul mio cuore, anima sorda e crudele, / tigre adorata, mostro dall’aria indolente; / voglio immergere a lungo le mie dita tremanti / nello spessore della tua pesante criniera; // nelle gonne impregnate del tuo profumo / seppellire la mia testa indolenzita, / e respirare, come un fiore appassito, / il dolce tanfo del mio amore defunto/..

A colei che è troppo gaia

…/ A volte in un bel giardino / dove trascinavo la mia inerzia / ho sentito, come un’ironia, / il sole straziare il mio petto; // e la primavera e il verde / hanno tanto umiliato il mio cuore / che ho punito su di un fiore / l’insolenza della Natura. //Così vorrei, una notte / quando scocca l’ora della voluttà, / verso i tesori della tua persona / strisciare in silenzio, come un vile, // per castigare la tua carne gioiosa, / per straziare il tuo seno intatto, / e aprire sul tuo fianco stupefatto / una ferita larga e profonda/…

Qui il Poeta descrive il tormento di un infelice per un suo amore non corrisposto. Insopportabile ai suoi occhi la gioia della natura che gli strazia il cuore, come quella dell’amata che vorrebbe a sua volta sadicamente straziare per farle sentire il suo stesso dolore.

I gioielli

Baudelaire descrive una scena di alcova, tipica delle interminabili e incontinenti notti parigine vissute dal Poeta. Una prostituta che indossa solo gioielli si unisce a lui in un tripudio dei sensi.  Si sente tuttavia prigioniero della lussuria, non solo nel corpo  ma anche nell’anima. L’amplesso peraltro gli procura una sorta di estasi mistica, in cui crede di intravedere una dea.

…/Gli occhi fissati su di me, come una tigre domata / con un’aria vaga e sognante provava nuove pose, / ed il candore unito alla lascivia / dava un incanto nuovo alle sue metamorfosi; // e il suo braccio e la sua gamba, e la sua coscia e le sue reni, / levigati come l’olio, sinuosi come un cigno, / passavano davanti ai miei occhi veggenti e sereni; / e il suo ventre e i suoi seni, grappoli della mia vigna, // avanzavano più tentatori degli Angeli del male/…

Le metamorfosi di un vampiro

../Asciugo ogni lacrima sui miei seni trionfanti, / e faccio ridere i vecchi del riso dei bambini. / Per chi mi vede nuda e senza veli, prendo il posto / della luna, del sole, del cielo e delle stelle! /Sono, caro il mio sapiente, così dotta in voluttà, / quando soffoco un uomo tra le mie braccia temibili / o quando abbandono ai suoi morsi il mio seno, / timida e libertina, fragile e robusta, / che, su questi materassi che s’inebriano di turbamento, / gli angeli impotenti si dannerebbero per me!”/..

Il componimento descrive un incubo del Poeta in cui la Lussuria durante l’amplesso gli succhia la tutta la  linfa vitale come fosse sangue risucchiato da un vampiro. Privandolo della dignità  lo riduce ad uno scheletro, che osserverà inorridito al suo fianco nel letto al  risveglio. Triste e lugubre presagio della sua morte.

La poesia moderna. Prima e dopo Baudelaire

Nel 1866 colpito da un ictus mentre era a Bruxelles , era rimasto emiplegico. Fu riportato a Parigi dalla madre, ormai fiaccato dalla sifilide, dall’alcool e dall’oppio. Nessuna traccia ormai dell’edonista elegante, dandy e bohemien .

L’anno dopo , dopo una straziante agonia e aver ricevuto l’assoluzione della Chiesa e l’estrema unzione, Charles Baudelaire si spegneva a causa di un altro ictus tra le braccia della madre, a soli 46 anni. Fu seppellito nel Cimitero parigino di Montparnasse. La sua tomba è ricoperta dal rossetto dei baci delle fan e sempre ornata di fiori freschi. In realtà, è più vivo che mai.

 

Dario Nicolella
Dario Nicolella
Medico oncologo e dermatologo, con la passione per la scrittura, l'arte e la poesia. Autore di saggi su tematiche toponomastiche, storiche, mitologiche (sirene, luna) ed artistiche (cupole e chiostri napoletani) riguardanti in particolare località campane (oltre a Napoli, anche Salerno, Palinuro, Camerota) nonchè di numerose sillogi poetiche. Vincitore di premi letterari.