Il 19 gennaio 1940 nasceva Paolo Borsellino, celebre magistrato antimafia.
Paolo Borsellino studiò per il concorso in magistratura che superò nel 1963. Nel 1965 è uditore giudiziario presso il tribunale civile di Enna. Due anni più tardi ottiene il primo incarico direttivo: Pretore a Mazara del Vallo. Nel 1975 Borsellino viene trasferito al tribunale di Palermo, dove si dà vita ad un vero e proprio pool antimafia, che includeva quattro magistrati. Falcone, Borsellino e Barrile, i quali lavorano uno a fianco all’altro, guidati da Rocco Chinnici.
Il maxiprocesso è il traguardo più importante del lavoro di Giovanni Falcone e del pool antimafia di Palermo. Per la prima volta in un’aula di giustizia compaiono il gotha di Cosa nostra e cosiddetti “uomini d’onore”.
Paolo Borsellino, nato a Palermo il 19 gennaio 1940 è considerato un vero e proprio simbolo della lotta contro la mafia.
Combattere la mafia, quella definita di “facciata”, quella criminalità che sulle proprie nefandezze ha costruito carriere lavorative e non solo, questo era lo scopo principale del magistrato. Coloro che Leonardo Sciascia già trent’anni fa chiamava i professionisti dell’antimafia.
Quel terribile pomeriggio del 19 luglio 1992, Paolo Borsellino era diretto verso la casa della madre dopo aver pranzato con la famiglia a Villagrazia di Carini. Un’auto carica di tritolo parcheggiata in via D’Amelio esplose, causando la morte del magistrato e dei cinque agenti della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Ricordiamo che la famiglia di Borsellino rifiutò i funerali di Stato, accusando quest’ultimo di non aver saputo proteggere il magistrato.
L’amore per la propria terra e soprattutto un forte senso di giustizia, danno a Borsellino, nato il 19 gennaio di ottantaquattro anni fa, quella spinta necessaria che lo porterà a diventare un magistrato di grande bravura, nonché uomo di famiglia sempre premuroso ed attento. Per quella dedizione “smisurata” (come qualcuno l’ha definita) al lavoro, Borsellino lavorò senza sosta, firmò provvedimenti, indagando e ascoltando con attenzione e forte senso di responsabilità. Nel mentre, il magistrato è pienamente consapevole della sua condanna a morte, divenuta esecutiva e che il tritolo per lui è già arrivato a Palermo.
Ma nonostante ciò non si ferma. Non scappa. Non si dimette, dichiarando: “Io presterò fede fino all’ultimo al giuramento che ho fatto allo Stato”.
Quel senso di responsabilità nei confronti della propria terra, Palermo, non l’abbandonerà mai, ampliandosi ulteriormente in un concetto di legalità intesa come rispetto per se stessi e per gli altri.
Fino all’ultimo, nel tempo che gli rimane dopo il lavoro, cercherà di incontrare i giovani, di comunicargli sentimenti di legalità, rendendoli protagonisti della lotta alla mafia.
Credit immagine: Antimafia Duemila