Sembra di avere a che fare con la fine del mondo quando si parla della squadra di calcio del Napoli e del suo finale di stagione apparentemente senza pathos, visto che il secondo posto è oramai in cassaforte assieme alla partecipazione alla prossima Champions League di “presidenziale imperativo”. La gente non appare entusiasta per un obiettivo che è ritenuto una splendida abitudine da molti addetti ai lavori, ma che non fa splendere di ambizioni la piazza che (ir) ragionevolmente pretende lo “step” conseguenziale ad un “working in progress” che ha portato il club ai confini del paradiso e lo vede fermo ai box all’ultimo girone del purgatorio. Hai voglia a dire che qui si sta meglio che all’inferno, in mezzo ai satanassi dei conti falsi e dei libri in tribunale, hai voglia a ricordare che si è giocato negli stadi di Manfredonia e Martinafranca (con tutto il rispetto, ma si preferisce andare al Bernabeu o a San Siro), la maggior parte della gente dimentica ed è una cosa fisiologica, perfettamente umana, addirittura auspicabile perchè se così non fosse il paradiso rischierebbe di non esistere e nessuno godrebbe del celeste appagamento. Il malcontento degenera in un calo graduale e costante delle presenze allo stadio che da alcuni anni registra picchi in ribasso a Napoli che non si possono spiegare solo con la fatiscenza del San Paolo o con la possibilità di vedere le partite in televisione. Una buona parte dei supporter ritiene che non ci sia unità di intenti con la società soprattutto in relazione agli obiettivi che questa avrebbe e che si limiterebbero alla sola qualificazione nella più importante manifestazione calcistica al mondo, autentico “eldorado pallonaro”, la Champions e che non si avrebbe voglia di contrastare la strapotenza tecnica ed economica della Juventus in Italia. I fatti nudi e crudi ci dicono però che la squadra azzurra è oramai seconda, nel nostro paese, solo ai bianconeri e che l’altalenante rendimento oltre i patrii confini rispecchia il cattivo rendimento di tutti i club italiani, ritornato ai periodi di magra antecedenti al 1982, anno che fece da spartiacque tra i grigi anni settanta ed i ruggenti anni ottanta dell’italico calcio. Si ha l’impressione che analizzandoli questi fatti, De Laurentiis, capro espiatorio dei malcontenti, più che non volere, non possa fare di più, perchè provare a fare l’ultimo passo e tentare di completare la crescita degli azzurri con il sigillo di trofei importanti (che non sono garantiti anche se spendi un miliardo di euro) potrebbe rompere un equilibrio economico perfetto e portare la sua azienda in un giro vizioso che rischierebbe di comprometterne il futuro. In fondo tutti i napoletani vogliono vincere bei trofei ma nessuno vuole tornare a Manfredonia, a meno che questa non li raggiunga in serie A.