Ornella Auzino, imprenditrice napoletana e autrice del libro ” Le mie borse” è di certo una voce coraggiosa e fuori dal coro.
Il suo è un punto di vista alternativo, una prospettiva aperta e illuminante sul mondo della moda e della fabbrica: dai profumi forti dei materiali utilizzati, l’esperienza familiare fatta di dedizione e passione, arrivando poi alla lotta per la tutela del lavoro.
Ornella si racconta al 21secolo:
– Come nasce questa Sua passione per le borse ?
<< Provengo da una famiglia che ha lavorato da sempre in questo settore. Il tutto è cominciato negli anni ’70 e dopo un ventennio florido siamo giunti agli anni ’90, quando ero poco più che ventenne, ad un tracollo.
Così decisi di prendere ‘ le redini’ della vecchia azienda di famiglia, cominciando a lavorare prima localmente e poi di allargare il raggio d’azione. Soprattutto perché compresi che a livello locale i lavori erano malpagati e soprattutto di bassa qualità. Il 2013 è stato un anno un po’ tragico, mi sono rimboccata le maniche però e nel 2014 ho cominciato ad intercettare una nuova clientela. Con Gucci, è nata una collaborazione durata sino ad oggi, riuscendo a fare un buon lavoro e ricostruendo la situazione aziendale, e allacciando durante gli anni rapporti con varie startup.
Ad un certo punto ho approfondito il discorso social e comunicazione, intravedendo nel web una nuova possibilità di apertura. Soprattutto per chi si occupa di manodopera, che è un settore considerato di nicchia , con i social invece c’è ad oggi l’opportunità di intercettare clienti ovunque. Facendo questo mi sono resa conto che le filiere e tutto il made in Italy era completamente a secco di informazioni. Chi è del settore ovviamente sa come funzionano le cose, ma all’esterno non c’è informazione o consapevolezza. Molte persone infatti non sanno che per esempio alcune grandi firme producono solo in Italia, non si conosce pienamente tutto il lavoro che c’è dietro l’artigianato. Quindi ho cominciato a usare youtube per raccontare la storia di brand piccoli, la provenienza dei prodotti in modo da creare una certa curiosità rispetto ad un mondo parzialmente conosciuto.>>
-In effetti c’è poca informazione sulle produzioni, di brand molto importanti che si trovano a livello locale.
<< Sì, di fatti quando ho raccontato che Gucci, Luis Vuitton e Dior, per citarne alcuni, producono a Napoli la gente si è stupita. Ho sempre dato per certo che le persone sapessero, ma invece non è così scontato per gli altri .>>
-Lei come l’ha spiegata questa mancanza di informazione, quasi meraviglia di venire a conoscenza che soprattutto a Napoli i grandi brand sviluppino le loro produzioni?
<< Dipende da fattori culturali, soprattutto dovuto al fatto che i grand brand che adesso appartengono alle holding, hanno promosso l’idea che avessero fabbriche loro, dando spesso l’idea che i prodotti fossero esclusivi di queste fabbriche con il loro marchio. Fino a cinquant’anni fa questa cosa era veritiera.Poi negli anni ci sono stati sviluppi con le filiere e accanto a questa crescita sono emersi gli scandali:terzisti sottopagati, e i brand non hanno mai voluto associarsi a queste situazioni per paura ovviamente della reputazione. Grazie ai giornali, e a trasmissioni come Report che hanno fatto emergere un po’ di notizie, i brand gestiti dalle multinazionali hanno compreso quanto fosse importante un cambio nella gestione della comunicazione e delle trasparenza. >>
– Riallacciandoci all’emergenza sanitaria, che sta avendo ripercussioni in tutti i campi della vita. Come vive tale momento così complesso?
<< Da un punto di vista personale e imprenditoriale, io e mio marito ci siamo sentiti piuttosto abbandonati. Dalle istitituzioni, dal nostro settore di riferimento, e il sentimento di abbandono deriva anche dal fatto che come terzisti non abbiamo una rete cui appoggiarci. L’incertezza sul futuro è forte, anche perché apparteniamo ad un mondo che ha basato i suoi punti di forza sul turismo. Questo settore si nutre di dinamismo, sfilate, buyer, fiere quindi anche in previsione di un lavoro offline per ammortizzare i danni, comunque salteremo le stagioni e non avendo il potere finanziario per poter sostenere sei mesi di fermo la situazione sarà di difficile gestione.>>
-Problemi con cui si stanno interfacciando la maggior parte dei lavoratori di tutti i settori. Dalla piccola alla grande imprenditoria. Ma l’imprenditore è anche un lavoratore che soprattutto nei momenti di crisi, mette in moto la sua parte più creativa, attivando nuove strategie. Ecco Lei sta elaborando qualche piano, per fronteggiare eventuali difficoltà?
<< Sì certo. Credo personalmente, che almeno per il campo della moda, si ripartirà dal ” su misura” e quello che mi auguro soprattutto dal comparto campano della moda, a partire dalle scarpe, borse che si faccia squadra, diventando così un polo produttivo importante da supportare anche tutte le altre imprese del territorio. Personalmente la comunicazione via web mi sta aiutando a scovare nuovi punti strategici anche con l’estero. Bisogna cambiare prospettiva: dal locale bisogna aprirsi al globale. >>
-Ornella Lei ha anche scritto un libro dal titolo ” Le mie borse”, come è nata l’idea di mettere nero su bianco la sua esperienza?
<< Il libro è nato come forma di protesta contro il fatto che Napoli è sempre stata etichettata come terra di contraffazione e da cui bisogna andare via poiché non si trova lavoro. L’ho scritto in un momento come questo, di crisi, solo che adesso ho più strumenti per gestire la situazione.Mi sono confrontata spesso col pregiudizio, soprattutto quando le persone mi chiedevano che lavoro facessi e dove lo facessi, avvertivo la ferita delle etichette. Quindi ho cominciato a raccontare tutte le dinamiche presenti anche nella casta della Pelletteria, e mi sono esposta. Essendo terzista, solitamente si lavora nell’anonimato e invece io ho voluto metterci la faccia ed è stato anche un modo per avvicinare le persone alle fabbriche. La fabbrica per me è stato sempre un luogo aperto, mentre il mondo da fuori lo percepisce chiuso. Il libro è un cavallo di Troia, per fare entrare ogni singola persona in fabbrica e far capire che al suo interno esistono sacrifici e dietro i sacrifici le persone che ci lavorano. E soprattutto cancellare il preconcetto che la fabbrica sia un luogo in cui le persone vengono solo sfruttate. Esiste anche tanta bellezza. >>
– Di certo non è facile metterci la faccia e avere il coraggio di raccontare le cose come stanno, con tutte le conseguenze che possono derivarne.
<< Certo, infatti qualche minaccia mi è arrivata. Mi sono sentita dire che parlo troppo sui social, di cose anche positive. Hanno cercato di togliermi il lavoro, creare situazioni difficili con gli operai. Ma ad un certo punto ho scelto: nella vita avremo sempre paura di qualcosa. Devi decidere però che tipo di paura vuoi avere:paura di uscire di casa oppure scegliere di combattere impegnandoti per cambiare veramente le cose. Io ho scelto di combattere iscrivendomi all’antiracket, combattendo anche il mondo delle contraffazioni. Nella vita bisogna schierarsi, sapere da che parte stare e così piano piano anche chi prima mi inviava ” imbasciatelle” ha evitato. Ma non è stato facile. Questo però credo sia l’unico modo per cambiare le cose veramente. >>
-Il mondo è un po’ abituato a vedere il settore della moda con pregiudizio, come un cosmo a sé stante e non ‘impegnativo’. Ma risulta automatico chiederLe, a questo punto seguendo il discorso di lotta e cambiamento: può la moda avere anche funzione sociale? E come ha percepito Lei, gli aiuti arrivati dai grandi stilisti durante l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo?
-<< Sostanzialmente a me ha fatto un po’ ‘ impressione’ che grandi case di moda abbiano donato dai due ai cinque milioni di euro per l’emergenza e poi magari sono state lasciate a casa 20/30 aziende che purtroppo attendono ancora i pagamenti. Le grandi case di moda, le holding devono essere giuste a tutto tondo, a partire dai dipendenti. Se parliamo di etica e sostenibilità probabilmente dobbiamo ricordarci di fare le dovute considerazioni a tutela di chi ha permesso col suo lavoro dietro le quinte, di fare beneficenza. La pecca della moda è questo: inviare un messaggio contrastante. I brand devono rispecchiare coerentemente i principi che pubblicizzano.>>
– Le faccio una domanda metaforica: Lei produce borse, immaginiamo una borsa contenente qualcosa da mettere a disposizione di tutti, cosa sceglierebbe di mettere a disposizione per Lei e per gli altri in questo momento storico?
<< Metterei il tempo e tutto ciò che ho imparato in questi anni sia competenze tecniche sia la passione e l’amore per il mio lavoro. Non è escluso che se non riusciamo ad aprire in breve periodo, mi piacerebbe attivare dei corsi che riguardano questo mestiere, insegnare ciò che so e dare le competenze utili affinché 4 o 5 persone a rotazione non vengano messe in cassa integrazione. Questo lavoro sopravvive solo se le conoscenze vengono tramandate, ecco io metterei a disposizione quello che ho appreso vedendo i singoli pezzi scomposti diventare prodotti finiti. La magia e la bellezza. >>