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Napoli, le similitudini consanguinee allo yin-yang

Vi chiedete mai perché non si sente spesso citare e discutere riguardo le mezze misure? Perché costantemente esiste una netta e profonda separazione, senza attraversare il limbo che fraziona le due estremità? Gioia e delusione, gol realizzati e reti incassate, successi straordinari ed amare disfatte, risultati vincenti alternati ad altri sconfortanti. Differenti sono le analogie affini al concetto di yin e yang, pensiero molto remoto, con origini dall’antica filosofia cinese, probabilmente proveniente dalla dualità notte-giorno. Un concetto molto noto no? Lo yin e yang sono opposti; nessun elemento può essere completamente yin o totalmente yang. Inoltre, lo yin e lo yang possiedono radice l’uno nell’altro. Hanno origine reciproca, non c’è esistenza dell’uno senza l’altro. E chissà se al Napoli può essere associato questa nozione…

La prima parte di stagione dei partenopei, infatti, è stata un pullulare di momenti positivi e negativi, di trionfi avvincenti e pessime sconfitte. E in parte il Napoli è stato contemporaneamente yin e yang, come un po’ tutti d’altronde: eccellente da un lato, mediocre dall’altro. Il concetto di continuità è giunto sotto l’ombra del Vesuvio, ma poi, non essendo stato notato da nessun calciatore azzurro, si è allontanato lentamente ed ha fatto ritorno nella sua dimora.

Numerosi sono stati i punti di forza del Napoli, ma altrettanti i punti deboli, un coacervo di trepidazioni le quali sfumano nella positività e nella negatività. Il medesimo Rino Gattuso ha realizzato un capolavoro a tinte fosche, come il volto della sua compagine, un enorme velo ha oscurato gli atteggiamenti più rilevanti e i risultati più fruttuosi. Dalla miglior difesa della Serie A all’appartenenza e i segnali di reazione, sino a giungere all’ostica ricerca di un’identità di gioco e il crollo delle certezze caratteriali dell’ultimo lasso temporale.

È il periodo di Natale, l’anno si è concluso, la prima porzione della stagione 2020/2021 termina qui, ed è tempo di un primario bilancio della stagione in casa Napoli. Lo sprint iniziale ha avuto sembianze illusorie, un eccellente avvio ha fatto ben sperare un’intera tifoseria, nella mente di quest’ultima il sogno tricolore solcava i mari dei pensieri, ma la visione onirica è svanita ben presto, dissolvendosi nella nube della realtà. Una realtà amara e deludente, la quale ha vagheggiato insigni successi, ma in conclusione si è infranta contro ostacoli insormontabili, soltanto all’apparenza però.

Ed è stata proprio questa la problematica invincibile che ha spesso demolito il club campano. Il vigore del Napoli è inoppugnabile, ma nutrire fiducia nelle proprie capacità non è nell’indole azzurra. La mission impossible di mister Gattuso era proprio questa, recuperare dal profondo degli abissi non i propri calciatori, ma l’apprezzamento delle loro doti sbalorditive, la riscoperta del valore interno degli stessi partenopei. Non era semplice come incarico da portare a termine, si trattava di una funzione importante svolta in alcuni momenti nel migliore dei modi. Non sempre purtroppo, e il peso di ciò grava ancora sulle spalle della formazione azzurra.

Il calo di alcuni giocatori, quali Fabian e Di Lorenzo, non ha certamente facilitato il compito di Rino; la pressione, inoltre, è stato un fattore determinante nell’involuzione del Napoli. La stanchezza è evidente ed anche naturale, l’allenatore calabrese dà la scossa, e forse uno scombussolamento dell’ambiente potrebbe rappresentare la manovra perfetta per correggere il tiro e ritornare sui propri passi. Per ridivenire spaventosa nei confronti degli avversari in Europa League e partecipare nuovamente alla lotta per il titolo. È partita poi la caccia ad un terzino di grido, sul taccuino di Giuntoli compaiono i nomi di Junior Firpo ed Emerson Palmieri.

L’augurio più grande per l’anno venturo? Il Napoli deve ritornare a credere nel proprio valore, mister Rino dovrà faticare molto per rintracciare il potenziale occultato e tanto agognato. Ci si augura, dunque, che il club campano sia più yang che yin, più “qiángdà” che “ruò“.