Napoli, il mistero della tomba di Artemisia
Le pittrici tra Cinquecento e Settecento
Nella storia dell’arte le pittrici hanno faticato non poco per affermarsi in un mondo riservato esclusivamente agli uomini. Tuttavia tra il Cinquecento ed il Settecento alcune artiste riuscirono a farsi notare per le loro indubbie qualità. A partire da Lavinia Fontana e proseguendo con Elisabetta Sirani, Sofonisba Anguissola, Ginevra Cantofoli fino a Rosalba Carriera.
Tutte accomunate dalla predilezione per i ritratti femminili, spesso eroine mitologiche o bibliche. Ma anche donne ordinarie, rendendo finalmente protagonista il genere femminile almeno nei dipinti. Tuttavia subirono quasi tutte una damnatio memoriae post-mortem, da parte di una critica per secoli esclusivamente maschile, trovando solo di recente il giusto apprezzamento.
La riscoperta di Artemisia Gentileschi
Ma la pittrice che più di ogni altra negli ultimi tempi è salita prepotentemente alla ribalta grazie alla rivalutazione da parte della critica e alle numerose mostre che l’hanno vista protagonista, è senza dubbio Artemisia Gentileschi. Oggi tutti la chiamano semplicemente Artemisia. Romana, figlia d’arte e formatasi nella bottega del padre Orazio, è noto come la giovane fosse stata affidata dal padre ad un suo amico, l’artista Agostino Tassi, per affinare le proprie doti pittoriche
Lo stupro e il processo
Artemisia purtroppo subì prima uno stupro e successivamente un processo per dimostrare la colpevolezza del Tassi, venuta meno la possibilità di un matrimonio riparatore in quanto sposato. Durante il processo fu anche torturata per essere certi che raccontasse la verità.
Tutti eventi che l’avrebbero segnata profondamente e che secondo la critica riemergono nelle sue opere, riversando sulla tela le conseguenze psicologiche della violenza subita. Una lettura interessante ( ma anche limitativa) dei suoi dipinti aventi come oggetto le eroine bibliche, da Giuditta a Giaele, da Betsabea a Ester, che animate da una forte sensazione di riscatto vendicativo , trionfano su un nemico violento e crudele.
Una femminista ante-litteram ?
Artemisia già poco dopo la morte iniziò a essere ritenuta una sorta di femminista ante litteram, strenua avversaria della violenza maschile e capace di impersonificare l’aspirazione femminile ad affermarsi nella società. Ma dal punto di vista degli storici dell’arte, tale visione oscurò le sue qualità artistiche dando maggior rilievo alle vicende personali.
Dopo Firenze (dove fu introdotta da Michelangelo il giovane, nipote del Buonarroti alla corte di Cosimo II) e Genova e un ritorno a Roma , la pittrice avrebbe finalmente trovato a Napoli,tranne una parentesi a Londra, il terreno fertile alla propria affermazione artistica grazie ai riconoscimenti e ai numerosi incarichi ricevuti
Ciò nonostante per secoli la “pittora “ sembrava condannata all’oblio, tanto da non esser citata neanche nei libri di storia dell’arte. Il culto di Artemisia Gentileschi sarebbe riemerso solo nel 1916, grazie allo storico dell’arte Roberto Longhi.
Napoli, la morte di Artemisia
Nel pieno della sua maturità artistica Artemisia sarebbe morta a Napoli durante l’epidemia di peste del 1656.Le notizie disponibili dicono che la sua tomba fu posta nella Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, nella zona dei Guantai (attuale Piazza Matteotti)
Una semplice lapide recava iscritte due parole (Heic Arthemisia) dettate proprio dall’artista. Compianta dalle due figlie superstiti e da pochi intimi amici, la sua morte scatenò i suoi detrattori, tra cui Giovan Francesco Loredan e Pietro Michiele, autori del seguente sonetto, dai cui versi trasuda il più bieco maschilismo :
«Co’l dipinger la faccia a questo e a quello / Nel mondo m’acquistai merto infinito / Nel l’intagliar le corna a mio marito / Lasciai il pennello, e presi lo scalpello / Gentil’esca de cori a chi vedermi / Poteva sempre fui nel cieco Mondo; / Hor, che tra questi marmi mi nascondo, / Sono fatta Gentil’esca de vermi»
Napoli, il mistero della tomba di Artemisia
Napoli, il mistero della tomba di Artemisia. La lapide ed i resti dell’artista risultano dispersi in seguito alla ricollocazione della chiesa abbattuta nel dopoguerra perché ritenuta infondatamente pericolante causa i bombardamenti. Proprio durante i lavori di costruzione del nuovo Rione Carità, promosso dalla giunta di Achille Lauro tra il 1952 e il 1953, la Chiesa fu demolita .
Nel 1950 la società CERC aveva ottenuto l’autorizzazione per prelevare gli elementi architettonici degni di essere salvati: i nove quadri di artisti toscani (Marco Pino e Giovanni Balducci) andarono nella nuova chiesa del Vomero. Le otto statue degli Apostoli finirono nella Basilica dell’Incoronata a Capodimonte. E la tomba di Artemisia?
Nella nuova Chiesa del Vomero non c’è. Ma allora che fine hanno fatto i suoi resti? Secondo alcuni potrebbero essere finiti nell’ipogeo della vicina Chiesa di S.Anna dei Lombardi. Forse perchè non trattandosi di un monumento funerario la semplice lapide non sarebbe stata ritenuta meritevole di essere conservata. Ma è questo un epilogo degno di una grandissima artista ?
Una lapide per Artemisia
Napoli, il mistero della tomba di Artemisia. Non sappiamo se mai sarà ritrovata la lapide o i suoi resti. Magari gli storici potranno aiutarci ricercando nuova documentazione in merito. Ma una cosa è certa. Napoli deve riconoscenza ad Artemisia, e se non ha saputo conservarne la tomba nel modo più consono, ha contratto con lei un debito di riconoscenza. Non resta che saldarlo con una nuova lapide in sua memoria ,da collocarsi in un luogo giusto, a perpetuarne il ricordo nei cuori di tutti noi.