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Micco Spadaro, l’ekphrasis della Napoli spagnola

Di Micco Spadaro, alias Domenico Gargiulo, vita e morte sono avvolte nel mistero sfatato solo dall’estro artistico che ne ha fatto il cantore figurato della Napoli del Vicereame spagnolo a metà del XVII secolo.

Tali incertezze biografiche hanno avuto ripercussioni anche sulla medesima possibilità di datazione delle sue opere.

Dato largamente accreditato riguarda il soprannome “Spadaro”, da cui si ricava la professione paterna.

Spadaro era figlio di un armaiolo, artigiano implicato nella fabbricazione e commercializzazione di spade, cui è certificata l’appartenenza corporativa.

La soluzione alchemica della sua pittura è coeva al suo tempo.

Attraverso il realismo, influenzato dalla lezione seicentista post caravaggesca, Micco Spadaro dà vita alla verve tumultuosa di una delle urbs più popolate dell’Ancien Régime mettendone a ferro e fuoco gli episodi politici, sociali e religiosi.

Nelle sue tele trovano spazio articolate vicende della storia di Napoli come la rivolta di Masaniello, il culto devozionale al santo patrono, gli sconvolgimenti interni durante la Guerra dei Trent’anni, l’eruzione del Vesuvio del 1631 e la peste del 1656.

Un luogo simbolico per conoscere le sfumature di un’occhio come quello del pittore Spadaro è certamente la Certosa di San Martino. 

All’interno del Museo della Certosa di San Martino lo spettatore può arrivare a fruire della vividezza ruvida dell’imaginery di un momento storico emblematico e torbido, reso l’enfasi ai tratti connaturanti dei ritratti miniaturizzati delle scene corali istoriate dallo Spadaro.

L’esito dell’arte figurativa di Micco Spadaro è un mero trattato storiografico, una cronaca, articolata per via figurativa e iconografica, a cui gli studiosi non possono far a meno di guardare per comprendere lo spirito millenaristico di una città come Napoli.

La parabola di Micco Spadaro si muove e sviluppa in simultanea con altri pennelli della scuola figurativa e pittorica napoletana come il poliedrico Salvator Rosa e Andrea di Leone, sospinti dalla bottega di Aniello Falcone.

In molti si sono interrogati sulla valenza mimetica sulle sue opere, al di là del tratto esperto della processione di San Gennaro, per la sinergica capacità di mostrare un popolo unito nella spiritualità e nella miseria in maniera teatrale.

Opere discusse sono per i tratti sfumati e i colori non meno cruenti nel tratteggiare eventi della rivolta masanielliana come nella tela de “Uccisione di Don Giuseppe Carafa” e  “Punizione dei ladri durante la rivolta di Masaniello”.

Tale discrasia è stata interpretata dalla maggioranza degli storici dell’arte come evoluzione stilistica che fa della tela della “processione” opera più tarda e con consapevolezza artistica.

Altri critici, invece, hanno posto uno Spadaro emotivamente, forse anche  politicamente, coinvolto nelle distruzioni e negli sconvolgimenti durante i giorni di Masaniello a cui egli ha dato perfettibilità mimetica.

 

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."