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Questo matrimonio s’ha da fare: la Romania si schiera

“Questo matrimonio s’ha da fare”. Nonostante possa apparire come una fallace proposizione pronunciata da Don Abbondio nel romanzo manzoniano de “I Promessi Sposi”, questa fa riferimento invece a ciò che cambierà in Romania a seguito del referendum costituzionale proposto dal Partito Conservatore (PC): nulla.

Infatti, nonostante le forti pressioni del partito alla guida del paese (il PC, appunto), la Costituzione rumena non verrà intaccata in alcuno dei suoi punti cardine e le unioni civili tra omosessuali dovranno essere riconosciute dallo Stato, così come attualmente in vigore. Inoltre la definizione di famiglia come “unione tra due persone” non sarà modificata come invece da previsioni politiche e mediatiche.

“Unione tra individui di sesso opposto”, questa sarebbe stata la rettifica dettata dalla proposta referendaria avanzata da Daniel Constantin, presidente del partito leader e attuale Ministro dell’agricoltura e dello sviluppo rurale del paese balcanico.

Il suddetto referendum, per ottenere il quorum ed assumere i connotati di proposta di legge da portare in Parlamento, avrebbe dovuto condurre alle urne appena il 30% degli aventi diritto al voto.

La campagna di propaganda del PC, oggettivamente quasi ai limiti dell’illegalità, si era fondata sul volantinaggio sfrenato e aveva diffuso il Constantin-pensiero mediante televisione e radio. Effettivamente in Romania moltissimi esponenti dei partiti d’opposizione hanno parlato di “lavaggio del cervello” e addirittura di “dittatura pubblicitaria”.

A favore dell’applicazione del referendum vi erano dei veri e propri colossi mass mediali, tra tutti il Partito Socialdemocratico di centrosinistra, Coalizione per la Famiglia (organizzazione che comprende numerosi movimenti politici minori), nonché la Chiesa ortodossa, storicamente indottrinata e contraria a qualsiasi forma di tessuto sociale che non poggi su pilasti conservatori.

L’accusa iniziale, che ha poi portato al referendum per il divieto di celebrare unioni civili tra omosessuali, prevedeva concezioni comuni per cui la comunità LGBT (Lesbo Gay Bisex and Transgender) avrebbe “infettato” la cultura e l’istruzione nelle scuole rumene promuovendo, in testi scolastici e non, “l’atteggiamento omosessuale”, così come denominato dai seguaci di Constantin.

Il PC aveva conquistato consensi, che altro non facevano che aumentare le sollecitazioni dei conservatori, altresì al di fuori dei confini nazionali. Infatti il ministro ungherese Viktor Orban e l’ex ministro polacco Wlodzimierz Cimoszewicz , resisi complici entrambi, rispettivamente nel gennaio del 2012 (art.9 , con possibilità per gli omosessuali di sostenere il servizio militare) e nell’aprile del 1997 (art.18 , con impossibilità per gli omosessuali di sostenere il servizio militare) , del veto del matrimonio gay, avevano gradito la proposta del PC.

L’opposizione tuttavia non è rimasta ad osservare passivamente il susseguirsi degli eventi e ha mosso importanti passi per far sì che il quorum non venisse raggiunto. La minoranza prevedeva la coalizione delle forze politiche di Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) ed Unione Salva Romania con a capo Klaus Iohannis, il quale in quanto seconda scelta degli elettori rumeni si è concesso l’onere di affermare che “il governo ha proposto questo referendum in maniera illegale e per mascherare e deviare i problemi reali che affliggono la Romania”.

“Questo referendum è un sopruso e limita lo stato di diritto di migliaia di onesti cittadini rumeni” ha inoltre denunciato Iohannis le cui esternazioni hanno compiaciuto le associazioni LGBT locali sostenute tra gli altri da Amnesty International, associazione no-profit per il rispetto dei diritti umani nel mondo.

Le attese e le speranze nutrite dai conservatori sono state sorprendentemente disattese: nonostante l’esasperante propaganda del PC solo il 20% degli aventi diritto di voto si sono presentati alle urne per modificare la Costituzione ( seppur ben il 90% degli intervistati in un sondaggio televisivo si erano detti pro-referendum).

I maggiori esponenti delle associazioni LGBT in Romania esultano e trionfanti ringraziano il popolo rumeno a nome di tutti gli omosessuali del paese e, sotto l’hashtag “#Boicot” che ha invaso il web per indire una propaganda anti-referendum, sferzano un duro colpo al Partito Conservatore.