Ehi Pocho, dove andrai con la tua andatura saettante, con lo sguardo da scugnizzo e gli occhi pieni di lacrime? Non possiamo credere che abbandoni il calcio, facciamo fatica anche solo a pensarci. L’oggetto misterioso dell’estate 2007, divenuto idolo, con patente per le magie, dopo anni di realtà squassanti, proprio nella città dove tutto può accadere. Il ragazzo giramondo in cerca di fortuna, con nella valigia i piedi virtuosi e la capacità di materializzarsi tra palla e portiere, palla ed avversario, silenzioso e letale. Cercò fortuna a 19 anni al Genoa, quando la squadra di Preziosi viaggiava a retromarcia dalla A alla C, senza lo straccio di un paracadute; troppo per un giovanotto che aveva il Vesuvio nel destino, come un’appuntamento che non poteva fallire, con l’ombra scomoda del più grande di tutti (il divin Diego), nel paradiso dei calciatori, Napoli. Profeta in patria, con la “clausura”, conquistata da protagonista in Argentina, nel San Lorenzo de Almagro, la futura squadra santa di Papa Francesco; fu adocchiato nel primo anno napoletano, di serie A del corso “Aureliano” da Pierpaolo Marino che lo regalò alla platea azzurra, scomoda ma adorante, che chiede tanto e ti da tutto; solo se sei Lavezzi però. Fu amore? Senza ombra di dubbio! De Laurentiis, in questi anni, ha regalato tanti campioni alla nostra città ma Ezechiel è stato il primo a fare centro nel cuore-bersaglio dei napoletani ed è l’unico che ha gestito il distacco con l’eleganza e la leggerezza che mostrava nelle sue giocate. I successi, soprattutto quelli economici, sono arrivati a Parigi (due scudetti, più tre coppe nazionali) ma il periodo napoletano è stato di gran lungo il più spettacolare per l’asso argentino che regalava scatti e giocate che rimarranno negli occhi dei suoi tifosi di allora, nei tempi in divenire. Un ragazzaccio dai capelli lunghi arrivò in città, e dopo cinque anni, nel 2012, se ne andò in Francia un vero uomo, consapevole che a quella gente aveva donato i suoi anni migliori di calciatore e un piccolo trofeo: la Coppa Italia. Un giorno chiesero al “Pampa” Sosa cosa volesse significare, in lingua spagnola, la parola “Pocho”; il gigante , ex attaccante, senza nemmeno esserne sicuro, disse che voleva dire, essere un poco matto; un pazzerello, diremmo dalle nostre parti. Per noi, quella parola, da quando abbiamo conosciuto Lavezzi vuol dire fantasia, classe, rispetto; vuole dire lasciare una traccia che gli anni non cancelleranno; richiama alla mente un volto amico, in giro per il mondo, completamente alla mercè della sua famiglia, a cui dedicherà la sua esistenza senza calcio; allora non resta che salutarci; qua la mano “Pocho” e buona vita a te.