Il secondo film di Bradley Cooper si è aggiudicato 4 nomination ai Golden Globe di quest’anno e ben 7 candidature per gli Oscar 2024.
Dopo A star is born, Cooper si propone ancora una volta in una triplice veste: attore, regista e sceneggiatore, per non parlare del suo ruolo di produttore. Maestro è un biopic diverso da molti che abbiamo visto sul grande schermo e fornisce un ritratto estremamente umano del grande Leonard Bernstein, leggendario compositore e direttore d’orchestra, autore tra l’altro delle musiche del celebre West Side Story.
Maestro: la biografia di Leonard Bernstein che prescinde dalla carriera del musicista
Il film non s’incentra sulla carriera del compositore, quanto sul rapporto con la moglie Felicia Montealegre, interpretata da una magistrale Carey Mulligan. Fanno parte del cast anche Matt Bomer che interpreta il primo amante di Bernstein (David Oppenheim), Silvia Silverman nel ruolo di Shirley (sorella del compositore), Maya Hawke che interpreta Jamie, la figlia maggiore e Gideon Glick nel ruolo dell’amante per cui Leonard decide di lasciare la moglie, Tom Cothran.
Si potrebbe dividere il film in due parti: la prima è caratterizzata dal bianco e nero, dall’atmosfera sognante e spensierata e racconta gli albori della carriera di Bernstein e l’incontro con colei che diventerà sua moglie; la seconda è a colori, ma sono i colori smorzati dei film degli anni ’70 in cui si percepisce la stanchezza della maturità, della coppia che è andata oltre il desiderio e si ritrova a dover tenere in equilibrio il matrimonio.
La pesantezza della seconda parte trova il suo apice nel momento più tragico dell’esistenza di Felicia, quando scopre di essere malata di cancro e si ritrova a doverlo affrontare, fino alla morte.
A incorniciare il film è il racconto di un Bernstein anziano che ricorda con malinconia la moglie e ne soffre la mancanza. “Se l’estate non canta in te, allora niente canta in te e se niente canta in te, allora non puoi fare musica” queste le parole di Felicia che ritornano spesso nel corso del film e che ne racchiudono un significato: l’importanza della leggerezza, di quella prima parte del film in bianco e nero che funge da motore per l’armonia complessiva di Maestro, in un costante gioco di precari equilibri.
Bradley Cooper la passione per la direzione d’orchestra
Maestro è un film molto personale per Bradley Cooper: “Da bambino ho sempre voluto fare il direttore d’orchestra. Ne ero talmente ossessionato da aver chiesto a 8 anni una bacchetta a Babbo Natale. Ascoltavo la musica, mi innamoravo delle note e riuscivo a riconoscere ogni singolo passaggio di un brano, per esempio l’Opera 35 in D maggiore di Tchaikovsky, nel concerto di violino. Per questo non vedevo l’ora di incarnare Bernstein”.
Ad essersi interessato inizialmente al progetto è stato Martin Scorsese, seguito poi da Steven Spielberg: i due registi vedendo il debutto di Cooper con A star is born hanno deciso di lasciargli la sedia da regista, rimanendo però come produttori. “Quando ho ricevuto la sceneggiatura – ha raccontato Bradley a Variety –, nel giro di un’ora Steven ha ricevuto una montagna di miei messaggi con un sacco di idee”. Successivamente ha lavorato al copione per ben quattro anni e ha studiato duramente per arrivare alla perfezione, ben 6 anni per una scena di 6 minuti, quella della seconda sinfonia di Mahler.
Maestro : la meravigliosa interpretazione di Bradley Cooper
La stessa recitazione di Bradley Cooper è stata invidiabile, attento ai più piccoli dettagli, modulando la voce e i movimenti di Bernstein, ponendo l’accento sulla potenza dei suoi gesti.
Così Cooper si è svestito della sua personalità ricercando un perfetto mimetismo che ne esprime la grande professionalità e il desiderio di incarnare di Bernstein sia il genio che l’ego. Leonard Bernstein che Cooper ci mostra è così: estremamente appassionato, ma profondamente incentrato su di sé, narcisistico e involontariamente insensibile.
Lo spettatore vive il dolore di Felicia, ne percepisce il senso d’abbandono e d’insoddisfazione per l’ombra che suo marito le proietta addosso, nonostante l’iniziale accettazione.
Un ego così grande che si manifesta anche nelle manifestazioni emotive di Bernstein, da quando corre incontro alla moglie dopo aver diretto una sinfonia per dirle che ciò che fa non è frutto di odio a quando ripercorre la sua vita con Felicia. Incisiva la la frase: “l’estate ancora canta in lui qualche volta” che sottolinea come non ha perduto il suo talento.
Una lunga sequenza di ricordi
Maestro sembra essere il lungo racconto di una serie di ricordi, ricordi che tuttavia non sono collegati tra di loro e che proprio per questo possono creare nello spettatore un senso di spaesamento: dopotutto i ricordi sono presenti in noi come tante fotografie del passato, isole non in contatto tra loro.
Al centro del film non c’è la carriera di Bernstein, quanto piuttosto il suo rapportarsi ad essa, ma soprattutto all’amore per sua moglie Felicia che continua ad esserci anche dopo il divorzio, in una forma più placida, quella della tenerezza di chi ha condiviso un vissuto. Emblematica quindi è la scena dopo la visita medica, dove Felicia e Leonard si ritrovano di nuovo, come quando erano ragazzi seduti spalla contro spalla e tentano di indovinare il numero a cui l’altro pensa, ma non ci riescono: ciò rappresenta la profonda incomunicabilità tra i due, ma non ne inficia il legame. Questo film in ultima analisi ci racconta questo: ci sono legami che nemmeno la diversità e la solitudine riescono a spezzare.
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