La fecondità della pittura di Luca Giordano è analoga alla capacità di sintesi concettosa verso una distopica armonia accennata e sospesa.
Questa vivacità fremente di Luca Giordano è evidenziata dal nomignolo dato al pittore napoletano in seguito ad un’aneddoto mentre era all’opera per commissione presso la Chiesa di S. Maria del Pianto sita in Poggioreale, ove in due giorni ultimò due dipinti.
Nel colpo d’occhio del partenopeo Luca Giordano si innestano le lezioni della scuola pittorica della sua epoca, a partire da quella delle origini napoletana del realismo post-Caravaggio e dello “spagnoletto” de Ribera, fino al rapporto emulativo con i nomi cardini coevi, da Tiziano a Pietro da Cortona al remoto Rinascimento.
La poliedricità si evolve subitamente al punto che le chiese di Napoli della seconda metà del 600′ e acquirenti privati fanno incetta della sua opera che muove dal naturalismo evidente ne “Il Cristo e l’Adultera”, alla ricerca virtuosa cromatica e espressive come gli affreschi de “l’ Assunzione della Vergine” e “La cacciata dei mercanti dal Tempio”.
Presso il Museo di Capodimonte la lezione pittorica del Giordano disegna il sentimento di devozione controriformistico declinato secondo l’affezione popolare, come si evince dalle tele avente per soggetto le storie di San Gennaro.
Parimenti è possibile ritrovare il nomen della classe politica napoletana e richiami fisici depurati dall’eros in chiave classicheggiante.
Luca Giordano comprende e fa proprio il rapporto con la lezione barocca, corredata al tema del cattolicesimo post-tridentino e nel suo pennello evolve nell’espressione della varietas ai limiti del sogno inquieto quanto di una realtà che sfocia nell’imaginifico e nella fantasia.
Tali tratti sono presenti in opere nomenclari nell’iter pittorico che muove dall’Italia dell’ancien regime fino alla corte di Madrid, attraversando le aree che custodiscono il tesoro dei grandi maestri del colore.
Se gli affreschi encomiastici del monastero-palazzo dell’Escorial di Carlo V d’Asburgo e Filippo II gli daranno a Luca Giordano il titolo di “caballero”, è il viceregno di Napoli a custodire i segni di gestazione e maturazione della sua prolifica produttività, espressa in un moto crescente della luce atta ad allargare spazi e confini.
Nel fratturato periodo napoletano due sono i loci emblematici della sua maestria, dall’esecuzione della pala di San Nicola per la Chiesa di Santa Brigida in via Toledo oppure gli affreschi per la cupola della Chiesa di San Gregorio Armeno,.
Tali contesti sono connotativi per la capacità di evidenziare la sintesi di forme e colori che problematizzano nel creare armonia tra uomo e universo attraverso una “spettacolizzazione” che ha come scopo suscitare l’attenzione e lo stupore.
La teatralizzazione barocca, viene da Luca Giordano addomesticata, senza mai smarrire il filtro realistico, ponendosi anche come antesignano della successiva linea “rococò”.