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Le quattro giornate di Napoli, un episodio chiave della seconda guerra mondiale

La situazione del Mezzogiorno, soprattutto a Napoli, comincia con le tragiche giornate dell’autunno durante la guerra, l’urto fra due opposti eserciti grava con tutto il suo peso sulla città, provocando lutti e rovina.

Dal 24 al 28 iniziarono le quattro giornate di Napoli, obbligando gli occupanti a lasciare la città. Tutto il peso della lotta si concentra nella Campania, e Napoli è il teatro principale del conflitto.

I nazisti a Napoli saccheggiarono e distrussero tutto: la loro furia, che travolse soldati sbandati, e cittadini inermi, raggiunse il culmine nell’incendio dell’Università della città. Gli edifici vennero invasi e dati alle fiamme, la popolazione rastrellata per le vie fu costretta ad assistere in ginocchio all’esecuzione di un marinaio sulla soglia dell’Università; una lunga colonna di deportati venne avviata verso Aversa, quattordici carabinieri, rei d’aver resistito al palazzo delle Poste, vengono fucilati nel corso della tragica marcia.

È dall’Università che iniziò la distruzione metodica della città che secondo gli ordini di Hitler avrebbe dovuto essere ridotta «in fango e cenere»; e la scelta del punto di partenza del piano terroristico non fu, probabilmente, casuale: era infatti nello stesso Ateneo che dopo il 2 luglio avevano risuonato più alte le parole della libertà, come nel proclama del l°settembre con cui il rettore magnifico Adolfo Omodeo ricordava ai giovani che ,«i loro maestri erano della generazione del Carso e del Piave e comprendevano il loro affanno».

Cominciò poi la sistematica distruzione delle zone industriali, del grande stabilimento ILVA di Bagnoli, mentre tutta la città fu messa a sacco.

Napoli fu ridotta alla disperazione per le condizioni selvagge in cui è stata ridotta Napoli, priva di cibo e d’acqua, sgombrata a viva forza e distrutta nei quartieri verso il porto (nello spazio di ventiquattro ore, dal 23 al 24 settembre, oltre 200000 persone restarono senza tetto).

Un antefatto delle Quattro Giornate di Napoli: l’abbandono da parte dei nazisti delle caserme e dei depositi militari contenenti ancora piccole quantità di armi e munizioni. Probabilmente i tedeschi ritennero che il suddetto materiale bellico non avesse importanza, né sarebbe stato utilizzato dalla popolazione contro di loro dopo gli infiniti esempi di terrore, dopo la deportazione di ottomila giovani come misura di rappresaglia per il mancato rispetto del bando Scholl.

Nella notte tra il 27 e il 28 settembre la popolazione si alternò in un incessante via vai fra le caserme e le abitazioni, le donne in cerca di viveri e d’indumenti, gli uomini in cerca d’armi e munizioni.

Molte armi erano state già nascoste e conservate gelosamente nei giorni dell’armistizio: ora la determinazione di usarle, di cercare dovunque nuove scorte di esse, di scendere finalmente ,«in istrada» era sbocciata improvvisa come l’unica possibile.

Il popolo aveva« fatto la sua scelta », ma in senso opposto a quello richiesto dal proclama fascista. Già nel pomeriggio e nella sera del 27, sollecitati, sembra, dalla falsa notizia dell’arrivo degli Inglesi a Pozzuoli e a Bagnoli, si erano avuti i primi rapidi scontri, le prime scaramucce in più punti della città, episodi in apparenza casuali, certamente non collegati l’uno con l’altro (un gruppo di cittadini che reagisce al saccheggio della Rinascente, un altro gruppo che liberò a piazza Dante dei giovani razziati, due tedeschi inseguiti a furia di popolo al Vomero).

All’alba del 28 settembre la rivolta esplose al Vomero e da Chiaia a piazza Nazionale. Non vi furono collegamenti fra un centro e l’altro dell’incendio, ma l’insurrezione cominciò ad ardere in decine di punti diversi.

Il 28 settembre è la giornata dell’ardimento popolare sfrenato e travolgente del popolo napoletano.

Tra le decine e decine di combattimenti, tanti giovinetti. La situazione del Mezzogiorno nelle tragiche giornate dell’autunno è la situazione della parte d’Italia su cui la guerra.