La produzione italiana di zafferano si sta dimostrando, negli anni, sempre più florida. Purtroppo, però, solo l’1% di quel che arriva sulle nostre tavole è zafferano italiano, nonostante la crescita delle aziende del settore.
Lo zafferano è una spezia dalle infinite proprietà: è un antiossidante, la fitoterapia lo utilizza per tenere sotto controllo i disturbi dell’umore e, in più, favorisce tutte le funzioni digestive. Lo zafferano, poi, è ottimo anche in cucina: il suo sapore, simbolo della cucina italiana, esalta gusti delicati come quello del riso, dei frutti di mare e delle carni in umido.
Il fatto che la pianta da cui si ricavano gli stigmi per lo zafferano, il Crocus sativus, sia adatto a qualsiasi tipo di terreno, ha comportato una vera e propria corsa alla produzione di zafferano in tutta Italia. Tutt’ora, però, la maggior parte di questo prodotto viene importato dall’Iran, dal Magreb e dalla Spagna, zone particolarmente favorevoli alla sua coltivazione.
La pianta da cui si ricava lo zafferano è piuttosto resistente ma non ama ristagni idrici. Ha bisogno di molto sole, però, non teme il gelo: proprio per questo la produzione sarda è una delle più antiche. Il Crocus sativus, inoltre, non si moltiplica spontaneamente, ma in sola via clonale e presenta, nella sua produzione, un processo di mondatura — separazione dei pistilli dal fiore — piuttosto delicato.
Rispetto alla qualità del prodotto è sconsigliato acquistare zafferano già macinato in bustine, spesso arricchito con coloranti. Si devono acquistare i pistilli che, messi a bagno in acqua, rilasceranno un colore ed un sapore delicato.
La produzione italiana di zafferano: dove si coltiva?
La produzione italiana più antica di zafferano è quella sarda. Si distingue, in questo senso, per la sua lunga tradizione, il comune di San Gavino Monreale, Santu ‘Engiu in sardo. Questo comune, che conta circa novemila abitanti, è completamente ricoperto da murales dedicati al Crocus sativus.
In Sardegna per essiccare i pistilli si utilizza un metodo tradizionale: gli stigmi, a cui si aggiunge una piccola quantità di olio d’oliva, si lasciano essiccare gradualmente al sole su assi di legno. Ciò, fa in modo che i pistilli ricevano un’essicazione progressiva, meno violenta di quella al forno, che preserva ancor di più l’aroma della spezia.
Oltre alla Sardegna, anche l’Abbruzzo, la Toscana — con il suo zafferano di San Gimignano D.O.P. — l’Umbria, le Marche e la Valle d’Aosta si occupano della produzione dello zafferano. In particolare, nella Piana di Navelli, in Abbruzzo, si coltiva uno zafferano con la denominazione D.O.P. fin dall’inizio del ‘900.
Anche la Liguria presenta un’antica produzione di zafferano, esattamente come il Friuli Venezia Giulia, regione in cui la spezia è diventata una vera e propria eccellenza.
La crescente produzione nel sud Italia: Sicilia, Calabria e Campania
Il sud Italia sta vivendo una vera e propria rivoluzione rispetto alla produzione di zafferano. In Calabria questa spezia ha una storia antica: già in epoca greco-romana lo zafferano trovò terreno fertile nella regione. Recentemente, la sua produzione ha ripreso vita nel Parco Nazionale del Pollino, sulla Sila e nella Piana di Sibari, conosciuta anche per la produzione di riso.
Anche la Sicilia sta investendo risorse preziose nella produzione di zafferano. Il terreno fertile della regione, soprattutto nei pressi dell’Etna, ben si presta alla coltivazione di questa pianta. Anche Agrigento si sta distinguendo per la produzione di zafferano, spezia, tra l’altro, molto utilizzata nella cucina siciliana.
La Campania è una delle regioni in cui la coltivazione dello zafferano è arrivata in tempi molto recenti. Italo Santangelo, agronomo coordinatore Rete Zafferano Campania, spiega a ilSole24ore che quella campana è “una coltivazione che ha preso piede solo da qualche anno e presenta una qualità altissima“. Poche, le ditte della provincia di Napoli che hanno scelto di investire in questo settore rispetto, invece, a quelle dell’Irpinia e di Salerno.