È una parola orribile, della quale negli ultimi tempi si sente spesso parlare.
Secondo l’enciclopedia Treccani, Femminicidio è la parola dell’anno. È stata definita dall’enciclopedia: “L’uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale che, penetrata nel senso comune anche attraverso la lingua, ha impresso sulla concezione della donna il marchio di una presunta, e sempre infondata, inferiorità e subordinazione rispetto all’uomo”.
Una parola che ha fatto molto discutere e che ha suscitato molta indignazione, soprattutto nell’ultimo periodo, dopo la morte della giovanissima Giulia Cecchettin per mano di colui che diceva di amarla. Giulia è una delle tante… tantissime vittime di mani assassine, che uccidono senza ritegno, trattando la donna come un oggetto.
Parole come rispetto ed educazione (sentimentale in questo caso) sembrano non esistere più, o almeno… per qualcuno sono finite nel dimenticatoio. Quelli che dovrebbero essere i cardini di una società civile, sono invece ignorati.
La parola femminicidio non è nuova, esiste nella lingua italiana dal 2001. Prima per parlare dell’omicidio di una donna si usava uxoricidio. Ma la scelta di farla diventare parola dell’anno per Treccani evidenzia l’urgenza di porre l’attenzione sul fenomeno della violenza di genere, per stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo intorno a un tema che è prima di tutto culturale.
Ricordiamo che nel 2023 ben 118 donne sono state uccise per mano di un uomo, e in 96 casi si tratta di un familiare. Inserire la parola Femminicidio nel dizionario Treccani, rappresenta un traguardo linguistico, un modo per dare valore alla gravità del gesto.
Leggerla fa impressione, pronunciarla ancor di più ed i tantissimi casi di omicidi registrati in questi ultimi mesi sono la dimostrazione che qualcosa deve cambiare. Che si tratti di una questione culturale è indubbio e non esclusivamente cronaca di cui parlare. Quando se ne scrive è troppo tardi. Il fatto è già accaduto. L’unica cosa che resta è l’amaro in bocca. La sensazione di fallimento, non di un singolo, ma dell’intera comunitá.
“Avremmo potuto optare per un termine positivo, avevamo pensato a inclusione. Ma ci sembrava avesse senso scegliere invece una parola crudele, che ha effetto su chi la ascolta e chi la legge. I vocabolari non sono cimiteri di parole”, ha spiegato Della Valle, assieme a Giuseppe Patota, direttrice del vocabolario Treccani.
Purtroppo, nel 2023 la presenza e l’utilizzo della parola Femminicidio è diventata molto rilevante, fino a configurarsi come una sorta di campanello d’allarme che segnala, sul piano linguistico, l’intensità della discriminazione di genere.