Pochi giorni fa, nelle sale dei cinema, è uscito il film “Barbie”, la famosa bambola che fin dal 1959, ispira le bambine ad essere la donna che tutte desiderano: astronauta, scienziata, principessa o veterinaria, l’importante è essere libere di scegliere. Attraverso il semplice gioco, infatti, Barbie diventa subito un’icona del femminismo e del girl power, in quanto la casa produttrice Mattel ha sempre fatto di tutto perché Barbie incarnasse l’immagine di una donna emancipata, indipendente e lavoratrice. Dunque, ai giorni nostri è molto importante la figura della donna indipendente, che può essere potente alla pari dell’uomo.
Due civiltà in particolare che hanno plasmato le nostre civiltà di oggi hanno anche ridisegnato nell’immaginario collettivo e sociale il ruolo della donna all’interno della nostra società. In Egitto, la figura femminile era tenuta in grande considerazione, infatti oltre all’educazione delle figlie femmine, affiancavano il marito nelle attività o potevano addirittura avere un’attività propria. Avevano il diritto di possedere denaro ed oggetti di valore e decidevano a chi lasciarli in eredità una volta morte. Erano quindi parte attiva della società e a qualsiasi classe sociale appartenessero prendevano decisioni importanti insieme al marito, infatti anche il faraone, prima di prendere decisioni importanti per il regno si consultava con la moglie.
Valorizzando la figura della donna, automaticamente è importante anche la famiglia, la quale molto spesso era composta da madre, padre con tre o quattro figli, i quali avevano una diversa educazione in base al loro sesso, se erano maschi a 6 anni cambiavano vita: se erano figli di contadini, operai e artigiani cominciavano a lavorare coi genitori, mentre i figli maschi delle famiglie ricche andavano a scuola. Le bambine femmine invece in entrambi i casi restavano in casa con le madri.
Del pensiero opposto invece troviamo la civiltà dell’antica Roma, la quale aveva una società incentrata sulla figura maschile. In famiglia, il pater familias non solo gestiva, ma possedeva addirittura la moglie, i figli, gli schiavi, le nuore. Infatti, su tutti loro egli aveva il potere anche punitivo che si estendeva anche al diritto di vita o di morte, come a quello di vendere i membri della propria famiglia come schiavi.
La donna viveva tutta la vita in condizione di inferiorità poiché inizialmente stava sotto l’autorità paterna o di un altro membro maschio della famiglia, poi sotto quella del marito o addirittura del suocero; se restava vedova veniva nominato un tutore affinché gestisse i suoi beni. Dunque la donna veniva relegata nella domus, dove si occupava prevalentemente delle mansioni domestiche e della formazione dei figli, inculcando loro nella mente i valori della morale tradizionale della civiltà romana. Inoltre, non le era in alcun modo consentito di ricoprire cariche pubbliche o avviare un’attività politica.