La Commedia dantesca, o meglio la Divina Commedia, così come fu chiamata successivamente da Giovanni Boccaccio, è il simbolo della tradizione letteraria italiana, caposaldo del pensiero del Sommo Poeta Dante Alighieri.
L’opera rappresenta un allegorico viaggio ultraterreno, attraverso tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Divina Commedia: l’importanza etimologica dell’opera
Un interessantissimo aspetto, tra quelli forse meno noti dell’opera, riguarda, una caratteristica linguistica che la contraddistingue. La Divina Commedia è scritta in volgare fiorentino, lingua per la quale ancora oggi sono necessarie delle “parafrasi” per meglio comprenderla.
A tal proposito, sembrerebbe che l’opera dantesca sia stata annotata, con un’esecuzione svolta da copisti napoletani.
In particolar modo, facendo riferimento al manoscritto della Biblioteca dei Girolamini, è possibile riflettere su quella che fu la ricezione della Divina Commedia a Napoli, in un arco cronologico notevolmente ampio.
Un esempio di quanto è stato detto, è il canto XXIX dell’Inferno, all’interno del quale, Dante utilizza il termine “schianza”, riferendosi alle croste provocate dalla scabbia che caratterizzano i corpi dei dannati. Un chiosatore napoletano legge questo termine sconosciuto nel proprio dialetto, proponendo un sinonimo per “schianze”: questo sinonimo è la parola “cocceche” forma antica per “cozzeche”.
Quello citato è un esempio della cosiddetta “chiosa”, ossia, un’annotazione marginale, una postilla, che chiarisce il significato di alcuni termini; la chiosa, era molto utilizzata in passato, soprattutto per quanto concerne la lingua latina, o le parole del gergo letterario, di cui molti ignoravano il significato.
Le chiose o postille annotate a Napoli
Le chiose riguardanti la Divina Commedia, sono databili intorno al 1334, e sono raccolte in testi che contengono diverse annotazioni, postille, traduzioni, correzioni e spiegazioni, raccolte in quattro volumi e pubblicati dalla Salerno editrice.
Si sa che Dante Alighieri non sia mai stato personalmente a Napoli, ma sappiamo che i manoscritti delle chiose, furono elaborati da copisti napoletani, con traduzioni molto simili alla lingua napoletana.
I copisti della Napoli angioina, analizzarono in modo dettagliato la Divina Commedia, incoraggiati dal sovrano; il lavoro filologico proseguì anche in età aragonese, con Alfonso il Magnanimo, e grazie ad un’attività intensa, volta alla diffusione della cultura, ancora oggi è possibile leggere alcuni passi della celebre opera, in napoletano antico.
Possiamo quindi affermare, che le chiose, abbiano contribuito alla diffusione capillare della Divina Commedia, permettendone la comprensione anche dal punto di vista prettamente filologico.
Questo è uno dei tanti aspetti che a distanza di tempo continua a sorprendere ed affascinare filologi e letterati, e soprattutto, dimostra ancora, l’importanza di Napoli, dal punto di vista culturale.