La canzone napoletana non è solo la canzone di un popolo, quello di Napoli e nella cui musica riecheggia tutta la sua animosità ed energia, ma anche vero fulcro della musica italiana.
Alcune delle più note canzoni del nostro repertorio sono infatti riprodotte in tutto il mondo, solo per citarne alcune si annoverano “O sole mie”, “Santa Lucia”, “Funiculì, funiculà” “I’ te vurria vasà”.
Un patrimonio che affonda le sue radici nel Quattrocento, quando quello che oggi è un dialetto, il napoletano, divenne lingua ufficiale del Regno di Napoli. Le ballate cominciarono a venire eseguite con l’accompagno di una musica ora spregiudicata, ora allegra, ora malinconica.
Nel XVI secolo prese piede la “villanella alla napoletana”, una canzone caratterizzata da una forma profana –a sfondo satirico- la cui nascita influenzò poi anche la canzonetta, dai toni leggeri, ed il madrigale, un tipo di canzone “alla buona”, come farebbe pensare la sua etimologia.
Nel Seicento la “villanella” perse spessore e venne soppiantata dalla “tarantella”, danza popolare italiana, ritmata dall’uso di nacchere e tamburelli. Tra le prime canzoni tarantellate ci fu “Lo guarracino”, la quale raccontava di un litigio tra pesci per via di una vicenda amorosa.
Nell’Ottocento la canzone napoletana esplose e si pose al centro del piano artistico non più unicamente locale, campano, ma nazionale. Scrittori e parolieri napoletani si sbizzarrirono in una continua ricerca di testi per dar vita allo scheletro di quella che sarebbe stata la canzone italiana.
Un tributo sostanziale a questa impresa che ha permesso di diffondere la canzone italiana oltre i confini proviene senz’altro da autori come: Luigi Denza, Mario Costa, Eduardo Di Capua, Giovanni Capurro, Salvatore Gambardella, Libero Bovio.
D’altronde il primo disco per grammofono a 78 giri, nel lontano 1895, fu inciso proprio da un cantautore e macchiettista napoletano, Bernardo Cantalamessa. Il suo titolo era “‘A risa” (la risata).