Quando si parla di lavoro minorile, l’Italia non è il primo paese a cui si pensa: l’indagine “Non è un gioco” di Save the Children va proprio a porre in evidenza questo fenomeno che serpeggia silenzioso e invisibile, eppure per nulla trascurabile. Secondo le stime della famosa Ong, sarebbero 336 mila i minorenni tra i 7 e i 15 anni che hanno avuto esperienze lavorative continuative e non: circa 1 minore su 15 se questa cifra viene rapportata alla popolazione di quell’età. Se si vanno a considerare solo i ragazzi tra i 14 e i 15 anni che hanno svolto o svolgono tuttora attività lavorative, il 27,8% (circa 58mila adolescenti) è coinvolto in attività dannose sia dal punto di vista del percorso scolastico, che da quello del benessere psicofisico. Si parla di lavori svolti durante il periodo scolastico, durante turni notturni o definiti pericolosi dagli stessi intervistati.
In Italia l’età consentita per iniziare a lavorare è 16 anni, quando viene assolto l’obbligo scolastico. La portata del fenomeno è ancora più evidente se si considera che tra i ragazzi di 14-15 anni, 1 su 5 ha già avuto esperienze lavorative.
I rischi sono notevoli: secondo l’indagine di Save the Children il lavoro minorile sarebbe strettamente collegato alla dispersione scolastica, originando un circolo vizioso di povertà ed esclusione. Tra i 14-15enni che lavorano, 1 su 3 (29,9%) lo fa durante i giorni di scuola e tra questi il 4,9% salta le lezioni per lavorare. Ciò ha ovviamente delle conseguenze sul rendimento scolastico: la percentuale di bocciati durante la scuola secondaria di I o II grado raddoppia rispetto a quella dei coetanei che non hanno mai lavorato.
Il lavoro minorile incide, sempre secondo l’indagine, anche sul numero di NEET (Not in Education, Employment, or Training) ossia i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non ricevono una formazione. Nel 2022 in Italia i giovani in questa condizione erano 1 milione e 500mila, il 19% della popolazione di riferimento, la percentuale più alta in Europa dopo la Romania.
I settori maggiormente coinvolti dal fenomeno del lavoro minorile sono quello della ristorazione (25,9%), della vendita al dettaglio e attività commerciali (16,2%), le attività in campagna (9,1%), quelle in cantiere (7,8%), settori seguiti infine dalle attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). Altre forme di lavoro in espansione sono quelle online (5,7%) come la creazione di contenuti per social o videogiochi, o il reselling di scarpe firmate, smartphone e pods per le sigarette elettroniche.
Quali sono i motivi che spingono i giovani a cercare lavoro prima del previsto, andando anche incontro a situazioni di grave sfruttamento? In primo luogo forti esigenze economiche: il 56,3% ha dichiarato di aver iniziato per avere soldi per sé, mentre il 32,6% per essere di supporto ai genitori. C’è anche il 38,5% ossia adolescenti che affermano di lavorarlo per il piacere di farlo. Sicuramente ad incidere molto su questa scelta è il livello di istruzione dei genitori. Insomma, situazioni difficili dove spesso i minori vivono nella povertà e nell’esclusione sociale.
Si tratta di una situazione aggravata dalla crisi economica e dall’aumento della povertà, il che rende ancora più necessario un intervento affinché questo fenomeno non si diffonda ulteriormente. A tal proposito Raffaela Milano, Direttrice del Programma Italia-EU di Save the Children ha aggiunto: “Auspicando la rapida istituzione della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia attualmente in via di approvazione, chiediamo inoltre che la Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza – che deve ancora essere ricostituita – promuova una indagine conoscitiva sul lavoro minorile e le sue connessioni con la dispersione scolastica”. Ha continuato poi sollecitando “l’intervento diretto a partire dai territori più deprivati per rafforzare le reti di monitoraggio, il sostegno ai percorsi educativi e formativi e il contrasto alla povertà economica ed educativa, con un’azione sinergica delle istituzioni e di tutti gli attori sociali ed economici”.