Dopo il colpo di stato la Birmania continua a vivere una repressione costante, mentre tutti gli appelli a esercitare una pressione internazionale non hanno avuto risposta.
L’ennesima notizia è stata il massacro di 35 persone il 24 dicembre, trascinate fuori dai veicoli, uccise e bruciate. Due dipendenti dell’ONG internazionale Save the Children che si trovavano all’interno di uno dei minibus che sono andati in fiamme e spariti. Inoltre un ospedale di fortuna, nella giungla con un gruppo di infermiere birmane ha deciso di agire per curare i dissidenti fuggiti dalla repressione della giunta militare birmana, dopo il colpo di Stato a cui sono seguite massicce manifestazioni soffocate nel sangue dalla dittatura.
La tragedia successa vicino ad un villaggio abitato dove gli abitanti erano in fuga dagli scontri armati tra forze armate e oppositori con armi.
Le Nazioni Unite sono schioccate dal massacro, anche se il segretario generale dell’organizzazione non può far altro che chiedere una “indagine approfondita” sull’accaduto.
Da quando si è rovesciato il governo e messo agli arresti domiciliari Aung San Suu Kyi, che resta il punto di riferimento per la maggioranza della popolazione, i militari non sono riusciti a stabilizzare la situazione. Anche co la repressione, la resistenza attiva e passiva della popolazione non si ferma.
Inoltre migliaia di giovani sono entrati nei ranghi delle milizie etniche e oggi i focolai di resistenza armata si oppongono alla giunta. L’esercito non è in grado di stroncare questa resistenza e a centinaia di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case.
In questa impasse totale i militari non si fermano. “La Birmania diventerà uno stato fallito, nuove forze approfitteranno di tutto ciò per sviluppare l’ industria delle droghe pesanti, e promuovere il traffico di animali”.
L’aspetto peggiore è l’indifferenza generale. La Birmania è ormai sparita dall’agenda dei mezzi d’informazione, tranne quando un massacro va oltre le normali tragedie e quindi bisogna per forza parlarne.