Chi non ha mai sognato l’immortalità? Nell’antichità riti e superstizioni ruotavano in torno al mito della vita eterna. Ebbene in natura esiste un organismo che potrebbe vivere eternamente, una medusa.
Questa medusa dal nome scientifico Turritopsis dohrnii, anche conosciuta agli appassionati del genere come “medusa Benjamin Button”, potrebbe insegnarci come sconfiggere la vecchiaia.
Peccato per lei però che pur avendo le carte in regola per vivere molto allungo venga predata molto precocemente.
Secondo una ricerca pubblicata su PANS possiede in doppia copia i geni che proteggono e riparano il Dna: l’ha scoperto un team di biologi dell’Università di Oviedo, in Spagna, confrontando il suo codice genetico con quello di una specie vicina.
Quando questa medusa è ferita o le condizioni ambientali sono difficili, e la sua vita è a rischio, si abbandona sul fondale e inizia uno strano decadimento.
Le sue cellule si riaggregano in un ammasso amorfo, si riattaccano a un substrato roccioso e ridiventano polipi, pronti a trasformarsi in nuove meduse. È un nuovo inizio, una regressione a una fase di immaturità sessuale.
I duplicati dei geni associati alla riparazione e alla protezione del Dna permettono alla T. dohrnii di produrre maggiori quantità di proteine protettive e “ristrutturanti”. Altre mutazioni peculiari consentono alla medusa di arrestare la divisione cellulare ed evitare che i telomeri (le porzioni di DNA che si trovano alla fine di ogni cromosoma e che impediscono all’elica di sfibrarsi) si degradino. La degenerazione dei telomeri è una delle ragioni dell’invecchiamento del metabolismo dei viventi.
La medusa immortale : qualche altra informazione
Durante la metamorfosi che la riporta allo stadio di polipo, la T. dohrnii è capace di silenziare i geni implicati nella maturazione cellulare, così da riportare le cellule a uno stato primordiale, e di attivarne altri che permettono alle cellule nascenti di specializzarsi di nuovo, quando dal polipo si staccherà una nuova medusa.
Lo studio di geni equivalenti nell’uomo o nei topi potrebbe offrire informazioni importanti sull’invecchiamento e sulle malattie a esso legato, come il cancro o le patologie neurodegenerative.