Pochi sanno che a pochi metri dal Corso Arnaldo Lucci,e a poche centinaia di metri da Piazza Garibaldi, vi è una lapide commemorativa in memoria di Mario Merola. Realizzata proprio dallo scultore Domenico Sepe, lo stesso artista della statua di Diego Maradona, oggi nell’omonimo Museo dei Quartieri Spagnoli.
Fu lì apposta nel 2007 ad un anno dalla sua morte, grazie all’interessamento dell’Associazione Culturale Sant’Anna alle Paludi. Composta da un bassorilievo in bronzo su marmo , raffigura l’artista a mezzobusto con un microfono in mano. Reca poi un’iscrizione che lo omaggia in qualità di Ambasciatore della canzone napoletana nel mondo . Inoltre spicca un messaggio rivolto a tutti i napoletani: “V’aggio voluto bene… penzateme”. (con l’accento inizialmente non presente per errore ma poi aggiunto in un secondo tempo )
Personaggio ancora oggi famoso tra gli ultrasessantenni, Merola è tuttavia poco conosciuto tra i giovanissimi napoletani . Eppure stiamo parlando di una autentico big della storia musicale partenopea. Il re di Napoli. Storia e leggenda di Mario Merola. Ma chi era davvero ?. Un docufilm si propone di raccontarlo.
Il re di Napoli. Storia e leggenda di Mario Merola
Recentemente presentato in anteprima al festival del Cinema di Roma,”Il re di Napoli – Storie e leggenda di Mario Merola”, per la regia di Massimo Ferrari, è un docufilm che andrà in onda sulla Rai nel 2025. Arricchito da particolari inediti forniti dai tre figli di Merola, nonchè dalle testimonianze -interviste di personaggi che lo hanno direttamente conosciuto ( Maurisa Laurito,Gigi D’Alessio e Nino D’Angelo) . Oltre a quella di Maurizio De Giovanni in veste di profondo conoscitore dell’anima partenopea.
Merola negli anni ‘70 e ’80, prima dunque dell’esplosione della musica neomelodica, è stato una delle figure artistiche più eclatanti della musica e del teatro napoletani (ma non solo). Due mondi e due settori che si si accavallarono con enorme successo di pubblico nel revival della sceneggiata che ebbe Merola come principale protagonista.
Il docufilm si inserisce a pieno titolo sull’onda impetuosa e travolgente del brand Napoli e del dilagare del suo dialetto . Non solo nel cinema e nelle trasmissioni televisive, ma anche nei social e perfino nella pubblicità. Scopo dichiarato far conoscere il personaggio al più vasto pubblico italiano, specie ai più giovani, a prescindere dal fatto se amino o meno la musica napoletana.
La sceneggiata napoletana
Rivedendo le immagini di repertorio delle sceneggiate si resta assai colpiti dalla partecipazione emotiva del pubblico. In qualche modo ricorda anche se per motivi assai diversi, quella dei fedeli che assistevano nel Duomo al Miracolo di San Gennaro . Durante le sceneggiate dalla platea eccitata volavano insulti di ogni tipo al cattivo di turno (“fetente, t’acciro!”). Ma a volte volava anche dell’altro.
Addirittura si racconta che una volta fu lanciato un coltello dal pubblico in trance, che per fortuna non raggiunse il bersaglio. Pubblico che apparteneva al popolo, non avvezzo a frequentare le sale teatrali. «Napoli è cambiata molto dall’epoca di mio padre, ma non nel cuore delle persone. La merolite c’è ancora e sono orgoglioso di questo documentario dedicato a mio padre. Anzi lo omaggerò in quaranta teatri di tutta Italia con la sceneggiata Lacrime napulitane, affiancato da mia moglie ».Così dice il figlio Francesco.
Dal canto suo il regista Massimo Ferrari afferma : “Merola è stato un grande artista “.Per capire appieno il suo personaggio e la grande popolarità occorre entrare senza pregiudizi nel suo mondo, che viene ritratto nel docufilm.
Innanzitutto il porto (dove da giovane aveva lavorato come scaricatore) . E ancora il Rione ‘Case Nuove’, Piazza Mercato, la casa di Portici. E ancora le sue grandi passioni : la cucina (spaghetti alla Merola) e il gioco (lotto in particolare) .
Artista autentico o personaggio folkloristico ?
Piaccia oppure no, Mario Merola è stato il re della sceneggiata, facendo rinascere un genere teatrale che risaliva ai primi anni del Novecento e sembrava caduto per sempre nell’oblio. E che nell’oblio è guarda caso ritornato dopo la sua scomparsa.
Per accontentare il pubblico si tenevano tre spettacoli al giorno. Evitati come la peste dal ceto medio napoletano ed esaltati dal sottoproletariato urbano e provinciale. Ma anche al Nord i biglietti andavano a ruba, acquistati prevalentemente da emigrati meridionali.
Le sceneggiate avevano una trama sempre uguale. Un uomo qualunque che subisce un sopruso, una vittima innocente che si vendica con violenza. Giustizia fai da te, diremmo oggi. Con un finale inevitabilmente catartico grazie alla liberazione dal male.
E non mancarono perciò ( ma non mancano ancora oggi) le accuse di plebeismo ( delitti d’onore,camorra) e machismo ( donne raffigurate soprattutto come madri o prostitute). Stesse accuse che sarebbero state poi rivolte ad alcuni neomelodici e ancora più di recente a certi rapper partenopei.
La fama intercontinentale
Per comprendere a che livello fosse giunta la fama di Merola basta raccontare un episodio. Nel gennaio 1977 insieme ad altri artisti italiani tra cui Luciano Pavarotti , fu invitato per una festa ufficiale alla Casa Bianca dal Presidente Gerald Ford . In veste di rappresentante della musica classica napoletana si esibì per un’ora.
Prima della festa durante il viaggio in pullman da New York a Washington era seduto al fianco di Luciano Pavarotti. Ad un certo punto Pavarotti propose a Merola, una volta tornati in Italia, di incidere insieme un disco di canzoni napoletane. Ma l’idea saltò perchè entrambi avevano scelto le stesse canzoni. Pavarotti, che si esibì subito dopo Merola, evidentemente seccato per l’episodio non contattò più l’incolpevole Merola.
Il quale, piaccia o non piaccia, per due decenni è stato l’indiscusso re della canzone napoletana. Portata non solo nei teatri, ma anche nelle sale cinematografiche quale protagonista di numerosi film. E alle critiche che venivano rivolte alle sue sceneggiate , in una trasmissione di Maurizio Costanzo, ebbe modo di ribattere con assoluto e disarmante disincanto all’intervistatore che lo incalzava : “Ma perché, in Shakespeare le passioni non esistono?”