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Il primo gennaio ci lasciava Giorgio Gaber

Il primo gennaio del 2003 Giorgio Gaber smise di cantare, per sempre.

La causa della morte dell’artista è da imputare ad un tumore ai polmoni, sopraggiunto nei primi anni 2000 e che ne causó la morte.

Una data importante per la storia della musica italiana, che segna la dipartita di un grande artista, capace di scatenare pensieri ed emozioni tra loro contrastanti, sottolineando la veridicità di argomenti sociali e politici di notevole spessore.

Primo gennaio: il Paese piange un grande cantante 

Giorgio Gaber (vero nome Giorgio Gaberscik) nacque a Milano il 25 gennaio 1939. Cominció a suonare la chitarra a soli 15 anni, per allenare il braccio sinistro colpito da paralisi.

Si iscrisse poi alla facoltà di economi e commercio che lui stesso pagava con i soldi guadagnati suonando al Santa Tecla, famoso locale milanese, dove ebbe modo di conoscere Adriano Celentano.

Proprio al Tecla Gaber, conosciuto come “Signor G” fu notato da Mogol.

Da quel momento la vita dell’artista, attore e cantantautore, cambió radicalmente. Fu un crescendo fatto di successo, lunghi applausi e consensi. 

Il “Signor G”, in realtà è uno sdoppiamento di se stesso, protagonista di spettacoli destinati a fare scuola. Autore di testi ricercati e d’impegno, Gaber, portato via da una malattia a soli 63 anni, il primo gennaio, ha lasciato canzoni ancora attuali, tra tutte sicuramente “Il conformista” e “Io non mi sento italiano”, sono tra le più rappresentative e cantate sui palchi italiani.

Emblema di una società che fu e nella quale  probabilmente qualcuno continua a riflettersi.

Quello di Gaber era un vero e proprio intento filosofico, non solo musica. La filosofia, per l’artista rappresenta un modo di agire, non è un sistema di nozioni da insegnare a chi ancora non la conosce.
Filosofare è una reazione cosciente ad un evento, il pensiero che si sposta su qualcosa. Eppure “Il Signor G” non 
si è mai reputato un poeta, come egli stesso affermó: “Non mi considero né intellettuale, né poeta: sono uno che cerca di vedere dentro se stesso, che è la via più sicura per vedere meglio gli altri, ed è ciò che faccio attraverso la musica, filosofeggiando con essa”.

Ecco che la sua musica diventa uno strumento per fare filosofia, per andare oltre le semplici note e sinfonie e creare dei veri e propri testi in grado di far riflettere e rispecchiare la realtà del tempo.

Il primo gennaio del 2003 si spense un uomo che riuscì a trasformare la realtà in musica, con uno “sguardo” critico, ma, in modo sempre oggettivo, arrivando ai cuori e alla mente di chi lo ha sempre ascoltato e ancora oggi canta a memoria le sue canzoni.

Quelle strofe brevi,  spesso declamate e non cantate, quell’enfasi, quella struttura interna ai temi scelti ed abilmente associati, è l’essenza di un artista che in realtà non è mai andato via.