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Il pane in Campania: tra varietà e superstizione

La Campania rientra sicuramente tra le regioni che più amano i lievitati. Oltre alla pizza infatti un altro fiore all’occhiello della tradizione e di uso assai più comune e quotidiano è il pane. Esso in Campania assume molte declinazioni diverse, ognuna delle quali è impregnata non solo di bontà ma anche di una ricca storia retrostante.

Ad accompagnare un pasto a base di mozzarella il più delle volte è il Pane cafone. Questo lievitato deve il suo curioso nome al fatto che per realizzarlo si ricorre alla farina grezza di grano tenero, una farina povera. Al di là della sua lavorazione l’attributo “cafone” è connesso al suo consumo. Il pane cafone veniva infatti mangiato dai contadini, che in Campania erano appellati, per l’appunto, cafoni.

Il Pane del Pescatore, molto meno conosciuto, era in origine diffuso specialmente sulla costa, nelle zone del golfo di Salerno e Policastro, ottenuto dall’impasto della semola di grano duro unita alle alici sotto sale e alle olive nere.

Il Pane di Padula, comune in provincia di Salerno, è un pane casereccio frutto di una miscela di grano duro e tenero. La sua parte superiore presenta l’incisione del “panis quadratus” che si può osservare nei mosaici di Pompei. Inoltre, Padula è sede di uno dei maggiori monasteri d’Europa e furono proprio i monaci della Certosa di San Lorenzo che lo consumavano già nel XVII secolo a contribuire alla sua diffusione.

Il Pane di Saragolla, tipico della provincia di Benevento, deve il suo nome al grano saragolla, una varietà di grano duro, che dona a questo pane le sue caratteristiche di pregio, tra cui una crosta croccante e una morbida mollica color giallo paglierino.

Il Pane di Vallo è invece caratteristico di Sorrento, dal color ocra, viene realizzato miscelando farine integrali di grano duro e tenero.

Il pane più antico in assoluto sembra essere però il Puccellato Rustico, di epoca romana, prodotto ancora oggi. Tipico soprattutto di Benevento è simile al tortano per l’utilizzo dello zucchero, dello strutto e del pepe, consumato nel periodo Pasquale.

Il tortano è una ciambella rustica salata ripiena di ciccioli di maiale, formaggi, salumi e uova sode. Si tratta di un pane delle feste cui si usava aggiungere tutto quanto rimaneva in frigo dalla Pasqua, ed è per questo motivo l’ideale per le gite fuori porta della Pasquetta.

Concluso l’iter gastronomico delle varie aree della Campania tanto dedite ai cereali, è d’obbligo riportare la superstizione per la quale in pane non va mai disposto in tavola capovolto né tanto meno porto sottosopra ad un commensale.

Due i motivi. Il primo è di natura religiosa: essendo il pane considerato il Corpo di Cristo offrirlo capovolto ha quasi il valore di una bestemmia. Il secondo risale invece alla Francia Medievale, dove Carlo VII attuò una pesante opera di reclutamento della figura dei boia, avendo fatto della pena di morte il metodo punitivo d’elezione.

Ciò aveva indotto il popolo -ed i fornai- a disprezzare fortemente i boia, un disdegno tale che Carlo fu costretto ad emanare un decreto che obbligava i fornai a trattare tutti in egual modo. Questi ultimi erano soliti vendere ai boia il pane peggiore e porgerglielo sottosopra.

All’epoca non era possibile scegliere la varietà di pane che più si gradiva, era il fornaio a scegliere quale distribuire in base alla classe sociale. Al vertice c’era il pane bianco denominato del Papa e dei Cavalieri, poi quello dei preti, degli scudieri e dei Crociati. Man mano che si scendeva nella gerarchia il pane si faceva più scuro, fino a giungere al pane integrale. Ancora più sotto si collocano la polenta, la crusca e le fave.

L’ulteriore soluzione che si trovò quindi ad adottare Carlo VII passerà alla storia, di lì in poi i boia avrebbero lavorato incappucciati per salvaguardare la propria identità.

L’alimento che tanto amiamo e che non manca mai sulle nostre tavole porta con sé gusti diversi, fatti di tradizioni ed un pizzico di storia.

Rosalba Caramiello
Rosalba Caramiello
Giovane psicologa clinica laureatasi all'Università di Roma "La Sapienza" ed educatrice, appassionata di giornalismo e fotografia.