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Il museo del tesoro di San Gennaro – II parte

Prosegue il nostro percorso nella storia e tra le bellezze artistiche esposte nel museo del tesoro di San Gennaro. Tra le numerose opere in mostra: calici, pissidi, cestelli, candelabri, piatti, ostensori con i busti e le statue dei Santi Patroni, segnaliamo le opere principali, tutte frutto di un lavoro di squadra di maestri altamente qualificati nel proprio settore.

Scultori, cesellatori, saldatori, mettitori d’insieme (Così venivano chiamati gli assemblatori del tempo – ndr) hanno realizzato capolavori di rara bellezza come la Statua di San Michele Arcangelo, protettore dei poliziotti, esempio straordinario di sintesi tra pittura, scultura ed arte argentaria del 600 e 700: realizzata nel 1691 in argento, bronzo, bronzo dorato e rame dorato dallo scultore Lorenzo Vaccaio su disegno progettistico di Luca Giordano e tradotta poi in argento da Gian Domenico Vinaccia, l’opera fu commissionata dalla Confraternita dei settantadue sacerdoti della parrocchia di San Gennaro all’Olmo per dare fede a  un voto fatto in occasione del terremoto avvenuto nel 1688.

Gli argenti rappresentano una parte importante del cosiddetto Tesoro di San Gennaro, perché queste antiche manifatture erano in prevalenza sacre per il quotidiano uso liturgico e gran parte delle statue venivano realizzate per custodire le reliquie dei Santi, che soprattutto nel ‘600 ebbero molta importanza nella devozione popolare. Numerosi busti vennero quindi commissionati da confraternite, chiese e monasteri in onore dei loro santi  patroni e poi affidati alla custodia della Cappella del Tesoro di San Gennaro dalla quale uscivano per essere portati in processione in occasione delle varie feste religiose e patronali.

La bellezza artistica dei busti e delle statue dei santi patroni, soprattutto quelli dei secoli XVII e XVIII, vanno però al di là del solo dettato devozionale. Filippo Del Giudice, Carlo Schisano, Gian Domenico Vinaccia, Lorenzo Vaccaio sono solo alcuni degli autori di questi grandi capolavori esposti nella mostra che rappresentano un vero e proprio vanto dell’arte e dell’artigianato di Napoli, ma anche la testimonianza del culto e della devozione per San Gennaro, amato da tutti i napoletani, conoscitori o meno del genio di questi artisti. Ma nel Tesoro di San Gennaro non sono solo presenti oggetti destinati al culto liturgico; agli arredi sacri, sia dell’edificio sia degli altari, dei paraventi dei sacerdoti; statue e reliquari rigorosamente d’argento, perché un insieme di grande interesse è rappresentato dai vari ex voto dei fedeli che hanno ricevuto ‘grazie’ da Dio per intercessione del Santo tramite fedeli ed incessanti  preghiere dei più perseveranti, e dai doni dei sovrani già esposti nel Museo: non c’è stata dinastia infatti che abbia regnato su Napoli e che non abbia in qualche modo poi lasciato traccia ben visibile di sé e del suo regno attraverso doni molto preziosi. Si comincia dagli Angioini, tra fine ‘200 e inizi ‘300, che offrono il Busto del Santo, esposto al Museo, splendido esempio di oreficeria angioina, realizzato nel 1305 di cui Giovan Domenico Vinaccia ne curò l’ammodernamento barocco nel 1676. Per proseguire con l’ostensorio in argento dorato, oro, perline, smalti, pietre preziose realizzato nel 1837 da Gaspare De Angelis e donato da Maria Teresa D’Austria in occasione del matrimonio della figlia Carolina.

Dono dei Borbone è invece il magnifico tronetto per l’esposizione del Sacramento per le Sante Quarantore: la ‘corona regale’ chiude in alto un drappeggio in argento che fa da quinta ad un insieme neoclassico di colonne ed angeli – cariatidi, tutte in argento massiccio e dedicate da Ferdinando II nel 1838.

Il calice con custodia e patena in oro, pagato l’esorbitante cifra di 3000 ducati, fu donato dal Papa Pio IX nel 1849 per ringraziare San Gennaro e la città di Napoli che lo aveva ospitato durante i moti mazziniani di Roma.

Ultimo omaggio regale, nel tempo, è quello che ricorda la visita, il 5 novembre del 1931, di Umberto di Savoia, Principe ereditario del Regno D’Italia, residente in quegli anni nel Palazzo Reale di Napoli: è una bellissima pisside (Calice con coperchio per conservare le ostie dopo la preparazione o dopo la comunione liturgica che risiede di solito nel tabernacolo – ndr) in argento dorato, opera del famoso orafo di Torre del Greco, Domenico Ascione e che, proprio perché proveniente dalla patria stessa del corallo lavorato, è costellata di cammei e di decorazioni colorate in malachite.

Il percorso museale è stato anche arricchito in seguito, dall’annessione della Sacrestia della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, un vero e proprio gioiello universale dell’arte, ricca di stucchi colorati, di marmi policromi e di affreschi seicenteschi e settecenteschi. Qui, infatti, è possibile ammirare l’affresco del Farelli, raffigurante l’Immacolata e che dà anche il nome alla prima sacrestia nella quale è conservato un meraviglioso olio su rame di Massimo Stanzione, raffigurante il “Miracolo dell’Ossessa”: questo grande dipinto originariamente era destinato alla Cappella del Tesoro di San Gennaro dopo la morte del Domenichino, ma poi successivamente fu sistemato, alla metà dell’800, sull’altarino inferiore di questa bellissima sacrestia, che espone anche una “natività” in legno di fine ‘600, un quadro del Pacecco De Rosa raffigurante San Gennaro appunto con l’Immacolata Concezione sullo sfondo paesaggistico del mare e del Vesuvio di Napoli ed una singolare portantina in legno del 1767, dono del Duca de Costanzo e che era utilizzata nella processione del primo sabato di maggio per trasportare la Statua di San Gennaro in caso di pioggia. E’ tutta foderata in effetti, da drappi d’oro e seta a fiori naturali, tre cristalli ai fianchi e ci offre un prezioso affresco di Giuseppe e Gennaro Rossi ed un lavabo in marmo del Fanzago, mentre la Sacrestia principale ci parla di Luca Giordano con al centro del soffitto uno splendido affresco da lui stesso firmato nonché quattro dipinti del pittore napoletano, posti alla cima della madia in legno del ‘600.