Il contemporaneo a Napoli, vita dura.
Arte moderna e contemporanea in una città classica
Il rapporto tra Napoli e l’arte contemporanea è stato sempre conflittuale. La città del vedutismo di Gigante e di Carelli e del verismo di Migliaro e di Gemito ha sempre mal digerito l’affermarsi delle nuove tendenze artistiche.
Era già accaduto per l’arte moderna nel settore figurativo, nel corso del primo Novecento. Poi l’affermarsi dell’astrattismo e dell’informale ha rinfocolato l’ostilità degli ambienti culturali più retrivi e conservatori. Il contemporaneo a Napoli, vita dura.
Un rapporto conflittuale
Negli anni Ottanta il grande gallerista Lucio Amelio, pioniere del contemporaneo, fu costretto a cedere la collezione Terrae Motus alla Reggia di Caserta in quanto non aveva trovato in città una sede adatta, causa l’indifferenza delle istituzioni.
Una collezione nata all’indomani del terremoto del 1980 e che vanta una serie di opere dei più grandi artisti internazionali.
Ma lo stesso è accaduto ad opere collocate in spazi pubblici, al chiuso o all’aperto, temporaneamente o definitivamente. Qui il pioniere è stato senza dubbio l’ex sindaco Antonio Bassolino a partire dalle installazioni in piazza del Plebiscito, restituita alla città, dopo essere stata pedonalizzata e sottratta al tappeto di auto in sosta.
Per non parlare della Metro dell’Arte, altra brillante intuizione in collaborazione col celebre critico Achille Bonito Oliva, che col tempo per fortuna ha trovato un sempre maggior numero di estimatori. Il contemporaneo a Napoli, vita dura.
Una politica culturale per l’arte contemporanea
Scopo esplicito di Bassolino era avvicinare il popolo al linguaggio dell’arte contemporanea grazie alla gratuità della stessa, non confinandola nel chiuso di uno spazio museale.
Peraltro , in collaborazione ancora con Bonito Oliva, dotando anche Napoli, città ricchissima di arte classica, di un Museo di Arte Contemporanea (MADRE ) nella Chiesa sconsacrata di Donnaregina Vecchia.
All’epoca però ci furono polemiche a non finire per tutte e tre le iniziative. Polemiche nel merito per l’installazione del contemporaneo in spazi classici (contestate perfino le installazioni più celebri, come la Montagna di Sale di Mimmo Paladino) ma anche nel metodo (contestate le spese sostenute).
Il contemporaneo a Napoli, vita dura. Per non parlare della recinzione della Villa Comunale e dei suoi tre chalet, disegnati dall’architetto milanese Alessandro Mendini su incarico dell’amministrazione Bassolino, un’altra iniziativa al centro di feroci polemiche.
Il caso della cosiddetta Fontana dei Capitoni
Molti ricordano ancora oggi il caso di Itaca, la fontana rettangolare in metallo dell’artista Ernesto Tatafiore, con un Vesuvio eruttante acqua anziché lava, contro la cui installazione in via Scarlatti si scagliarono numerosi cittadini e comitati civici, ribattezzandola fontana dei capitoni, per la somiglianza coi banchi natalizi di vendita delle anguille.
Oggetto di numerosi sberleffi e atti di dileggio, fino ad arrivare alla sua rimozione : portata in deposito alla Mostra d’Oltremare per un restauro e una successiva ricollocazione, ad oggi se ne sono perse le tracce.
La Statua del Dolore davanti al Pascale
Altri invece ricorderanno il caso della cosiddetta Statua del Dolore, opera risalente agli anni Trenta , dell’artista Antonio Tammaro. Fu acquistata dalla metropolitana e collocata nel 2005 nello slargo davanti all’Istituto dei Tumori, al termine dei lavori di arredo urbano e risistemazione dell’area interessata dall’apertura della stazione Rione Alto della Linea 1.
Un gruppo di cittadini, capeggiati dall’allora consigliere comunale di AN Ciro Manzo, condusse da subito una feroce battaglia, compreso l’impacchettamento con bende e con catene, ritenendo che fosse irrispettosa nei confronti dei pazienti oncologici del vicino Istituto.
La loro battaglia durata mesi avrebbe portato infine alla rimozione dell’opera, che al momento giace dimenticata in uno spazio di Castel dell’Ovo
Piazza Municipio, nuova Piazza dell’arte contemporanea
Non si sono ancora spente le mille polemiche sulla Venere degli Stracci di Pistoletto, installata due volte in Piazza Municipio, la seconda volta dopo il rogo che l’aveva distrutta completamente, e che troverà a breve una nuova collocazione.
All’orizzonte già si profilano nubi nere sull’opera che la sostituirà, Tu ‘si ‘na cosa grande di Gaetano Pesce, designer e scultore surrealista recentemente scomparso , un modello stilizzato che allude alla maschera di Pulcinella, affiancato da un cuore trafitto.
Come Piazza del Plebiscito lo fu per Bassolino, il Sindaco Gaetano Manfredi ha scelto Piazza Municipio come sede per installazioni artistiche contemporanee, grazie alla collaborazione del critico Vincenzo Trione.
Anche il Sindaco Manfredi si muove dunque nel solco del suo predecessore, incurante peraltro anche lui delle critiche che ha ricevuto e riceverà ancora.
Il contemporaneo a Napoli, vita dura
Ma già sono iniziate le polemiche. Si sta creando un comitato per la rimozione di un’opera che ,a detta dei promotori, non ricorda minimamente la maschera partenopea al punto che qualcuno già l’ha ribattezzata Pulcinella milanese.
Non sarà facile per tradizionalisti e puristi, già a disagio dinanzi ai Pulcinella surrealisti di Lello Esposito, accettare un’opera che con la sua fila di bottoni verticali richiama Pierrot più che la maschera napoletana. Prepariamoci ad una raffica di critiche. Il contemporaneo a Napoli, vita dura.
Le controversie sull’arte contemporanea
In realtà le controversie sul contemporaneo non sono una peculiarità napoletana, ma sono comuni a tutta l’Italia, capitale mondiale dell’arte classica.
Perché l’arte contemporanea spesso non viene capita o nel migliore dei casi viene fraintesa, si chiedono in tanti ? Perché non è di facile comprensione, necessitando di uno sforzo intellettuale per interpretare i motivi dell’artista. E non tutti sono disposti a farlo, aldilà della scontata e banale dicotomia bello o brutto cui molti si limitano.
Il futuro dell’arte nuova
Già nel 1925 Ortega Y Gasset prevedeva una rottura radicale fra l’arte e il suo pubblico determinata dalle avanguardie del primo Novecento .
”L’arte nuova ha la massa contro, e l’avrà sempre. È impopolare per essenza. Più ancora: è antipopolare. Qualunque opera da esso generata produce automaticamente nel pubblico un curioso effetto sociologico. Lo divide in due parti, una minima, formata da un ridotto numero di persone che le sono favorevoli; l’altra maggioritaria, innumerevole, che le è ostile.”