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“Il cattivo poeta”, il tramonto del Vate sullo schermo

Il “cattivo poeta” sarà nelle sale il prossimo 12 novembre, scritto e diretto da Gianluca Jodice, dopo una lunga gestazione venutasi a creare tra i luoghi privati del “Vate”, Gabriele d’Annunzio e una sceneggiatura capace di dare allo spettatore un prospetto bifocale, tra il personaggio del giovine federale e l’iconica personalità al tramonto del poeta negli ultimi giorni al Vittoriale.

La scenografia del Vittoriale, nella sua maestosità riscoperta grazie al lavorio pratico e teorico di Giordano Bruno Guerri, apre alle nascoste bellezze dell’ultimo loco del Vate e con interventi saggistici sul d’Annunzio ha permesso di rendere al cultore anche profano la genialità e lo sfarzo del “vivere inimitabile” del pescarese.

L’anno che assurge a riferimento cronologico, il 1936 non cade a caso.

E’ l’anno in cui l’Italia vede culminare la guerra fratricida di Spagna, l’avvicinamento alla Germania hitleriana, mentre il ruolo di Mussolini sulla vita politica e sociale italiana si pone come cappio stringente ma intimorito dalle critiche di personalità come d’Annunzio e Marinetti.

A dare input alla trama è l’astro nascente nelle attività corporative del PNF di Giovanni Comini, eletto il più giovine federale d’Italia, cresciuto con la malsana idolatria del segretario Achille Starace, figura subdola esaltata anche in numerosi romanzi dell’epoca come “Nozze fasciste” di Giulietto Calabrese, ma disprezzato da Mussolini.

Il compito di Comini -interpretato da Francesco Patané– è proprio quello di tener conto del massimo esempio letterario della nazione,  noto anche all’estero oltre che per la statura intellettuale anche per la capacità politica durante gli anni della Grande Guerra e dell’immediato dopoguerra fino al “Natale di Sangue” del 1921.

All’interno del personaggio del giovine federale avviene una trasformazione lacerante; invischiato tra l’educazione resa dal regime, la possibilità di far carriera e la fascinazione per l’elevatezza del d’Annunzio anziano, mero magister rivelatore dell’opacità mussoliniana resa all’Italia del Ventennio, stroncando ogni nero bildungroman.

La pellicola va oltre alla rievocazione storica del biopic, abbraccia le tonalità della spy story e il noir, in cui l’interpretazione del canuto d’Annunzio di Sergio Castellitto rievoca la conflittualità tra poeta e regime, il quale come ricordava nel “d’Annunzio Politico” Renzo De Felice, Mussolini cercasse di estraniarlo dalla partecipazione alla politica italiana conscio del peso avuto da questi sull’opinione pubblica.

Immancabili risuonano gli epiteti iperbolici nel delineare la figura del d’Annunzio, definito “bella donna costosa o dente cariato”, che si accosta ad uno scenario sconvolto e agitato per le sorti italiane dinanzi ai bagliori illusori dettati dalla propaganda di regime filtrante l’alleanza con la Germania e visti come prodomi di una nuova guerra.

Dopo la pellicola scritta e diretta da Sergio Nasca del 1987, con il “cattivo poeta” d’Annunzio ritorna sul grande schermo, stavolta senza far un prospetto sull’emergere della carriera letteraria nella “Roma bizantina”, ma discutendo della portata più enigmatica e controversa della vicenda del Vate.

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."