Il primo marzo del 1938 alle 20.05 moriva il poeta Gabriele D’Annunzio. Le cause della morte sono da attribuire ad una emorragia cerebrale che lo colpì improvvisamente.
Probabilmente non tutti sanno quanto D’Annunzio fosse legato a Napoli.
Sono tanti i poeti ed i letterati che nel corso degli anni hanno vissuto a Napoli, il più celebre è Giacomo Leopardi, ma riveste molta importanza anche D’Annunzio, che trascorse i cosiddetti “anni di sperimentazione” proprio nella città partenopea.
Il poeta, si lasció inebriare dalla bellezza e dalle sensazioni della città, dal profumo del mare, dai particolari che ammirava come un acuto ed attento osservatore.
Napoli è bellezza in ogni dove: un dato di fatto che i poeti del tempo hanno ben sperimentato, specialmente coloro che scelsero di vivere in città. Proprio questo aspetto riveste un ruolo importantissimo per Gabriele D’Annunzio; è risaputo quanto l’autore e poeta fosse attratto e allo stesso tempo attento alle mode e all’estetica del tempo, specialmente se provenienti dall’Europa.
Di lì a breve saranno infatti prima il mito di Wagner (con Schopenhauer già nella biblioteca) e poi quello di Nietzsche a stilare è diffondere una serie di nuove regole per la prosa.
È per questo che D’Annunzio ricerca sin da subito, un’estetica da attribuire alle proprie opere, alla poetica cui faceva riferimento. Una poetica la sua, incentrata sulla sperimentazione ininterrotta, sorretta da un dossier tanto pluriforme quanto guidato da tracce costanti e sottostanti.
In questo contesto si inserisce una delle opere più belle e probabilmente più note di D’Annunzio: Giovanni Episcopo, redatta nel 1891; si tratta di una lunga novella suddivisa in tre puntate per un compenso di 1.000 lire (si pensi che Pirandello per il Fu Mattia Pascal percepirà la stessa cifra nel 1904).
La cifra accumulata però, non gli permise di saldare i debiti contratti nella capitale ed è dunque costretto a trasferirsi prima in un convento a Francavilla, dove compose L’Innocente e poi si spostó a Napoli.
La celebre opera di Gabriele D’Annunzio, racconta in prima persona la storia (che ricorda un uomo del “sottosuolo” di Dostoevskij) di un mite e grigio impiegato, che sposa Ginevra, una bella cameriera, seppur un pò sfrontata, da cui ha un figlio di nome Ciro.
I poeti di Napoli: “figli adottivi” della città
Durante il periodo trascorso a Napoli, D’Annunzio, pienamente ed oggettivamente anticarducciano; l’autore si convince del crollo dell’ideologia verista, applicando una serie di intuizioni di carattere stilistico, creando una poetica in bilico tra l’analisi della realtà, dell’esterno, degli elementi quotidiani e personali, e la creazione logica di stati interiori.
Dunque, una serie di richiami non prestabiliti, che seguissero, rendendoli paralleli e strettamente collegati, sia il metodo della descrizione naturalistica sia quello dell’analisi psicologica.
D’Annunzio visse a Napoli tra il 1891 e il 1893, anni molto significativi e produttivi durante i quali scrisse sia per il “Corriere di Napoli”, sia per “Il Mattino”, intrecciando una serie di legami con il mondo culturale partenopeo che lo arricchì ulteriormente.
Napoli costituisce il vero fulcro della narrazione del poeta. Il soggiorno a Napoli gli permette di comprendere il valore delle relazioni umani, delle vicende personali e del teatro inteso come fatto letterario, oggetto poetico.
Quel primo marzo, D’Annunzio, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del Decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale, morì improvvisamente lasciando tutti sgomenti. Ovviamente l’eco della sua cultura, quella personalità così sicura di sè, forte, intensa, ancora oggi sono oggetto di studio letterario e filologico. Gabriele D’Annunzio ha ancora molto da dire, attraverso i suoi scritti ma anche le sue imprese, trasudano di impegno civile e identità poetica.