Che la pasta sia l’alimento più amato dagli italiani è un po’ il segreto di Pulcinella; infatti, secondo le stime ogni italiano consuma circa 23 kg di pasta l’anno. Se è vero che la pasta viene consumata in media circa 5 volte alla settimana, è ancora più vero che non manca mai sulle tavole degli italiani la domenica, diventando quasi sinonimo di casa e di famiglia, ma soprattutto di tradizione. Il Centro-Sud italiano incarna ancora di più rispetto al Nord questo prosastico e dimesso culto; infatti, ogni regione ha i suoi formati di pasta tradizionali: la Puglia ha le orecchiette e i cavatelli, la Sicilia gli anelli e le busiate, la Sardegna i culurjones e la Campania ha i suoi ziti e i paccheri, ma a Napoli regnano soprattutto i maccheroni.
Non si conosce l’origine precisa dei maccheroni, alcuni pensano addirittura che la loro origine sia in realtà siciliana, quello che è sicuro, tuttavia, è che a Napoli i maccheroni fanno parte di una tradizione molto forte e vengono associati anche alla sua maschera tipica, Pulcinella: quest’associazione è frequente in molti racconti, in uno in particolare Pulcinella utilizza i maccheroni per bere il vino indisturbato, usandoli a mo’ di cannuccia.
A Napoli i maccheroni si diffondono soprattutto nel ‘700 grazie all’avvento di nuovi macchinari che ne consentivano la fabbricazione su vasta scala. Il condimento tipico dei maccheroni sulle tavole partenopee è il ragù, ma inizialmente erano accompagnati da verdure e formaggio e solo nell’ ‘800 si tingono di rosso.
La fiabesca nascita dei maccheroni viene raccontata da Matilde Serao nel suo libro “Leggende Napoletane”; la scrittrice e fondatrice de Il Mattino, infatti dichiara di volerla raccontare nonostante il suo umile argomento e di averla raccolta “rozza e informe dalla tradizione popolare”. La leggenda, ambientata nel 1220, narra che a inventare la ricetta dei maccheroni fu un certo Chico, considerato dal quartiere un malvagio stregone, ma che in realtà era un uomo di famiglia benestante che aveva scialacquato tutti i suoi averi. La leggenda infatti si apre con il punto di vista degli abitanti del quartiere in una sorta di narrazione corale, avvalendosi del discorso indiretto libero: vengono narrate le abitudini di Chico attraverso i pettegolezzi del quartiere che attribuiscono all’uomo una natura quasi satanica. Il vero obiettivo del presunto mago, infatti, si rivela essere quello di rendersi utile al genere umano, inventando qualcosa che ne garantisca la felicità.
Gli esperimenti che Chico conduce sono in realtà esperimenti culinari, frutto di studi approfonditi e dei fallimenti passati. Entra in azione un altro personaggio, Jovanella di Cinzio, moglie di uno sguattero delle cucine di palazzo reale. In qualche modo che nemmeno il narratore conosce, Jovannella, grazie al suo essere impicciona, scopre il segreto di Chico e ordina al marito di far dire al re, Federico II di Svevia, che lei ha trovato un piatto degno di lui. Il re allora decide di mettere alla prova Jovannella e la fa recare nelle cucine reali: dopo appena tre ore Jovannella ha già concluso la sua opera.
Prese prima fior di farina, lo impastò con poca acqua, sale e uova, maneggiando la pasta lungamente per raffinarla e per ridurla sottile sottile come una tela; poi la tagliò con un suo coltelluccio in piccole strisce, queste arrotolò a forma di piccoli cannelli e fattane una grande quantità, essendo morbidi e umidicci, li mise a rasciugare al sole. Poi mise in tegame strutto di porco, cipolla tagliuzzata finissima e sale: quando la cipolla fu soffritta vi mise un grosso pezzo di carne; quando questa fu crogiolata bene ed ebbe acquistato un colore bruno-dorato, ella vi versò dentro il succo denso e rosso del pomidoro (…) coprì il tegame e lasciò cuocere, a fuoco lento, carne e salsa. Quando l’ora del pranzo fu venuta, ella tenne preparata una caldaia di acqua bollente dove rovesciò i cannelli di pasta (…) cotta la pasta (…) la condì con una cucchiaiata di formaggio ed un cucchiaio di salsa
La ricetta rubata da Jovannella viene apprezzata da tutti a Napoli e accorrono in tanti, nobili e poveri per acquistare la ricetta. Quando Chico scopre il furto, distrugge il suo laboratorio e se ne va senza lasciare tracce. La leggenda si chiude narrando che nel Vico dei Cortellari c’è ancora Chico che taglia i maccheroni, Jovanella che gira il mestolo nella pentola del sugo e il diavolo che con una mano grattugia il formaggio e con l’altra soffia sotto la caldaia. Questa come altre leggende racchiude in pieno il meglio e il peggio del folklore partenopeo: la tradizione culinaria come fonte di gioia e la maldicenza, il chiacchiericcio come fonte di un profondo stigma sociale.