Ritenuto dai critici uno dei più grandi virtuosi del pianoforte mai esistiti, Vladimir Horowitz ha incantato il suo pubblico con il suo eccezionale talento per più di 60 anni. La sua inimitabile tecnica era frutto di un controllo assoluto, di un rapporto organico con il pianoforte e della sua capacità di esprimere sia potenza che leggerezza nell’esecuzione dei pezzi. Diverse sono le raffinatezze tecniche che Horowitz ha portato alla massima espressione come le ottave ripetute e i trilli col quarto e quinto dito. Magistrale era anche l’utilizzo del pedale di risonanza, di volta in volta delicato o deciso. Horowitz era un artista dal raro istinto musicale che gli permetteva di cogliere e mostrare l’emotività delle composizioni che suonava. Un istinto che permetteva anche un approccio creativo in cui Horowitz credeva fermamente e che lo spingeva a offrire sempre nuove interpretazioni delle sue pagine pianistiche preferite.
Il suo repertorio solistico era ampio, ma frammentario, preferendo dedicarsi alle composizioni che più gli interessavano. Al centro del suo repertorio vi è la triade dei grandi compositori romantici, ossia Chopin, Liszt e Schumann, autori di cui è stato riconosciuto tra i più grandi interpreti. Tuttavia, Horowitz si è dedicato a molti altri compositori di epoche diverse, andando dal Barocco (Domenico Scarlatti) alla Prima scuola di Vienna (Mozart, Haydn, Beethoven) sino ai tardoromantici, simbolisti e moderni russi (Rachmaninov, Skrjabin, Prokofiev).
Tuttavia, il suo stile non sempre incontrò il favore della critica: in particolare negli anni ’40, una parte della critica, capitanata da Virgil Thomson, si schierò apertamente contro di lui e lo accusò di essere nevrotico e di deformare la musica con le sue interpretazioni. Invece altri critici, tra cui Harold Schonberg, Neville Cardus e Karl Schumann, presero invece posizione a suo favore. Ciò che valse ad Horowitz molte critiche fu proprio la sua abitudine ad intervenire sui testi: a volte si trattava solo di cambiamenti minimi, mentre altre compiva delle vere e proprie riscritture, arrivando a creare pagine in cui diveniva a tutti gli effetti un coautore. Horowitz nel corso nella sua carriera ha più volte motivato questa sua scelta dicendo che nell’Ottocento era una pratica comune; aggiungeva inoltre che se il fine del cambiamento era migliorare lo spartito o aggiungere parti di buon gusto, non c’era nulla di male. La questione della fedeltà allo spartito e della sua intangibilità è tutt’oggi molto dibattuta tra i musicologi.
Horowitz era molto astuto nel programmare i concerti e una volta paragonò l’organizzazione di un ottimo programma a quella di un buon pasto: un antipasto leggero, un piatto principale più corposo, un dessert sfizioso. I suoi concerti raramente erano dedicati ad un solo compositore; fece eccezione solo quello del maggio 1978 a Carnegie Hall, durante il quale il pianista programmò solo pezzi di Chopin.