L’ 8 maggio 1880 a dar l’ultimo saluto a Gustave Flaubert c’era l’intera società delle lettere di Francia che metterà a ferro e fuoco, tra engagement e dandysmo, la lezione del magistero letterario flaubertiano.
Emile Zolà, J. K. Huysmans, i fratelli De Goncourt, Guy de Maupassant si diranno sempre figli del motto “lo stile è tutto”.
Una penna che trapasserà le Alpi fino a dar linfa alla letteratura italiana alla ricerca di una nuova metodologia dopo il Manzoni e trovando nei veristi siciliani e nel d’Annunzio la risposta più vivace.
Il primo scacco al mondo romantico e al romance arriva dopo il travaglio traumatico delle pagine di Madame Bovary del 1857. Soglia simbolica per la modernità e l’antimodernità, dato che nel medesimo contesto la poesia esplode con I Fiori del male di Charles Baudelaire.
E se ne accorgerà anche la società di Napoleone III, condannando entrambi per oltraggio alla morale pubblica. Vagliando Madame Bovary secondo i dettami de “L’ antimoderno” di Antoine Compagnon i nuovi miti del progresso sono esibizioni ferine poste con il taglio ironico e crudele.
Se Charles Bovary è un medico pressappoco ignorante capace di ottenere apprezzamento solo dal futuro suocero campagnolo, spaventato da un banale incidente, l ‘operazione al piede torto di Homais e Charles del factotum Hyppolyte al piede torto, è sintomatica.
Homais è uno pseudomedico imbevuto di positivismo ridotto a sciocchezza pari al suo patriottismo vanificato nella ricerca della “Legion d’onore”.
Ad Homais va allegata anche la responsabilità nel suicidio privo di pathos di Emma, vittima delle sue letture e dei debiti, che riesce a ottenere l’ arsenico mal custodito e collocato a fianco di altri unguenti.
Il filtro del narratore impersonale è ritenuto lo strumento diegetico connotativo di Gustave Flaubert, destinato a far “parlare le cose” ma a ciò si allega l’uso dei nuovi apporti della metodologia scientifica della parapsicologia.
La psicologia dei personaggi flaubertiani, come ricorda Lydia Ginzburg in “La prosa psicologica” è una ragnatela indistricata, in cui non è possibile cogliere una sintesi tra pensieri e comportamenti.
Ciò è visibile ne L’ educazione sentimentale, ove il personaggio Frédéric Moreau, dinanzi all’oggetto del suo eros, Madame Arnoux, nella fissità mitizzata della sua mente, diviene un castello di carta in una bufera, sfatando qualsiasi seduzione unicamente per un dettaglio che attesta il declino quale un capello bianco.
Ne “L’educazione sentimentale” Gustave Flaubert allestisce una panoramica iper dettagliata della Parigi capitale della seconda rivoluzione industriale tra barricate e Secondo Impero.
Un’ apoteosi del male che elimina qualsiasi detrito romantico, in cui l’arte vagheggiata è ridotta a prodotto di consumo delle speculazioni e ogni possibile redenzione positiva sul fronte civile viene vanificato, come si evince nell’ immediata morte che coglie nelle barricate un ex compagno di studi di Frédéric.
Ad accomunare Emma e Frédéric è ciò che René Girard ha definito “vertigine della libertà”, ovvero laddove sono cadute le barriere cetuali dell’antico regime con la rivoluzione francese e la nuova possibilità di ascesa data dalla società napoleonica il “terzo stato” rappresento dalla borghesia ha cercato di emulare quei tratti presenti nel ceto osteggiato in precedenza, la nobiltà venendone sopraffatti.
Entrambi sono vittime della forza trainante del valore unico del denaro e dell’interesse, tratteggiato dalla pubblicità e delle mode, se la Lucia di Lammermoor è l’archetipo inarrivabile di Emma, Frédéric è l’archetipo di un’ impossibile maturazione come si evince dalle battute finali, ove l’unico ricordo è un aneddoto in un lupanare non consumato.