Giulio Andreotti nasceva 102 anni fa, il 14 gennaio del 1919 a Roma e deceduto nella stessa città il 6 maggio del 2013 . Andreotti è stato tra i principali esponenti della Democrazia Cristiana, partito protagonista della vita politica italiana per la maggior parte della seconda metà del XX secolo. Un uomo politico democristiano, un giornalista e uno scrittore, è stato per sette volte presidente del Consiglio e per ventuno volte ministro in numerosi dicasteri.
Giulio Andreotti: oggi sarebbe stato il 102esimo compleanno di uno dei politici più famosi del XX secolo.
Giulio Andreotti oggi nasceva a Roma da Filippo Alfonso, maestro elementare morto meno di tre anni dopo, e Rosa Falasca. Ultimo di tre figli, Andreotti resta a soli due anni orfano di padre e poco tempo dopo perse anche l’unica sorella che aveva, Elena.
La sua formazione religiosa avviene non solo in famiglia, ma anche nella parrocchia di Santa Maria in Aquiro e nell’associazionismo cattolico: soprattutto nella Congregazione mariana di S. Andrea al Quirinale e poi nella FUCI. È stato introdotto al mondo della politica da De Gasperi.
È stato proprio un impiegato della biblioteca che ha informato Andreotti all’interesse da parte di De Gasperi. Andreotti ha spiegato: «Io non sapevo chi fosse quel signore. Lui sapeva invece che dirigevo il giornale degli universitari cattolici», infatti scriveva per Azione Fucina dove Andreotti sollecitava uno studio profondo della sociologia cattolica
Andreotti è stato il politico con il maggior numero di incarichi governativi nella storia della repubblica. Fu infatti: sette volte presidente del Consiglio e per 32 volte Ministro della Repubblica considerando anche gli incarichi ad interim.
La carriera politica di Andreotti si può definire da record; con il maggior numero di incarichi governativi nella storia della Repubblica, ed è anche il secondo premier per numero di giorni in carica, secondo solo a Silvio Berlusconi.
Nessuno prima di lui ha dovuto affrontare tante tempeste giudiziarie: tra condanne, assoluzioni e prescrizioni, tutto con la stessa impettita fermezza e una compostezza rigorosamente rispettosa verso i giudici.
Nonostante ciò un “graffio” incancellabile era rimasto da una sentenza storica della Cassazione, quella del 2 maggio 2003: “La partecipazione nel reato associativo non nei termini riduttivi di una mera disponibilità, ma in quelli più ampi e giuridicamente significativi di una concreta collaborazione” con la mafia.