Gianni Errera, produttore discografico, musicista, compositore e arrangiatore, ha gentilmente concesso un’intervista al XXI Secolo, nella quale vengono ripercorsi alcuni tratti salienti della propria vita, interamente dedicata alla musica.
Prima di addentrarci nella lettura dell’intervista, ecco qualche cenno biografico del famoso compositore.
Ancora bambino, Gianni Errera avvia la sua attività di cantante, partecipando in primis a diversi concorsi canori. Egli parteciperà allo Zecchino D’Oro e registrerà numerosi dischi per la Rai, duettando anche con cantanti come Domenico Modugno, Nicola Di Bari, Peppino Gagliardi, le Gemelle Kessler e tanti altri artisti famosi negli anni ‘60 e ’70.
La sua carriera però non si limita alla musica, in quanto egli svolse la carriera di attore in diversi sceneggiati televisivi dell’epoca, fino all’adolescenza, quando optò per uno stop alla sua attività artistica.
La sua passione per la musica non è però svanita nel periodo adolescenziale, portando Gianni Errera ad essere oggi un produttore discografico, musicista, compositore e arrangiatore di fama mondiale, date le diverse attività svolte anche all’estero.
Egli è stato produttore artistico della cantante Alexia per l’album “Star”, ha collaborato con Giancarlo Bigazzi e, in Canada, con il produttore di Brian Adams. Ancora, all’estero, ha collaborato con il conosciutissimo fonico londinese Steve Lyon
Dal 2012 è socio della Nove Eventi, ricopre da anni il ruolo di organizzatore e Docente nell’attività di Formazione nella relativa Accademia per il Festival di Castrocaro. É stato altresì organizzatore e Direttore Artistico del Festival “Sanremo Rock”nel 2016, e del Festival “Una Voce per l’Europa”.
Svolge anche l’attività di compositore e arrangiatore di colonne sonore per importanti società cinematografiche, tra le quali spiccano la Lotus Production, Minerva Pictures, Notorius Pictures e Leone Film.
Attualmente è produttore artistico del duo Jalisse.
L’intervista
Di seguito l’intervista a Gianni Errera.
Chi è Gianni Errera e da dove nasce la sua vocazione per la musica?
«La mia vocazione per la musica nasce fin da bambino.
Avevo quattro anni quando mia sorella faceva le famose selezioni dello Zecchino D’Oro, perché cantava anche lei, allora con la mia famiglia andai in questo teatro, dove allora si svolgevano le selezioni, io scappai dai miei genitori, salii sul palco ed il presentatore mi chiese cosa ci facessi lì, io dissi “voglio cantare” e da lì iniziò il tutto.
Allora si cantava con il gruppo che suonava dal vivo.
Da lì iniziò la mia carriera, perché già a cinque anni partecipavo in Rai al Corrierino della musica, con il maestro Fabor, che scrisse per me canzoni per circa sedici LP che uscirono tra l’allora casa discografica It e le Edizioni Paoline.
Poi rappresentai l’Italia per l’UNICEF a Belgrado e a Parigi.
Vinsi un bel po’ di concorsi e cantai con i big dell’epoca, da Domenico Modugno a Claudio Villa, Peppino Gagliardi, Nicola di Bari, Louiselle, e divenni poi il cocco del maestro Fabor, l’allora anche marito di Silvana Giacobini, rincontrata l’anno scorso a Castrocaro.
Da lì iniziò anche la televisione, feci diversi tra film tra cui E le stelle stanno a guardare, con Giancarlo Giannini, Orso Maria Guerrini, Anna Maria Guarnieri, un cast notevole, dove c’era anche Anna Miserocchi, un’attrice bravissima che mi portò al teatro con lei, per cui feci anche esperienza di teatro. Insomma giravo un po’ tutta l’Italia.
A sedici anni, naturalmente non facendocela più con la scuola, decisi di interrompere l’attività, di dedicarmi poi a finire gli studi, altrimenti non ce l’avrei mai fatta, calcolando che giravo l’Italia sia per il teatro, sia per la televisione, sia per gli spettacoli che facevo, decisi quindi di finire la scuola. Finita la scuola dovetti iniziare subito a lavorare, ma, nel frattempo, creai anche un gruppo musicale con il quale iniziai anche a comporre canzoni. Da qui partì proprio un altro tipo di carriera, proprio dall’altra parte. Ho fatto prima tutta quell’esperienza artistica che però poi mi è stata utile in seguito, quando poi iniziai a lavorare con Giancarlo Bigazzi, che è stato un grande maestro in questo senso. Poi iniziai a produrre il mio primo gruppo che debuttò in quest’era qui. Ho radici in Canada, dove inizia proprio la mia carriera di arrangiatore, venni chiamato dal produttore di Bryan Adams, per arrangiare dei brani per una produzione. Da lì iniziò anche la produzione con Steve Lyon, ancora in attivo, che è di Londra ed è stato il fonico di tanti come Harry Clapton, i Depeche Mode, in Italia un po’ con tutti, da Laura Pausini ai 99 Posse. Iniziammo a vivere anche quest’esperienza insieme.
Divenni poi responsabile del Festival di Castrocaro, fino a quest’anno praticamente, Sanremo Rock, con la società Nove Eventi, con i soci Angelo Valchirio e l’avvocato Costa, che è procuratore di Zucchero e Vasco. Mi sono occupato nel frattempo di progetti artistici come Alexia, il mio ultimo progetto, ad esempio, il rilancio dei Jalisse con il brano Ora, da me prodotto, arrangiato, nei miei studi, sto seguendo un nuovo progetto per Katia Ricciarelli, che è un progetto di opere però riarrangiate in versione rock, o addirittura elettronico.
É un’ esperienza molto carina, lei è simpaticissima.
Sto seguendo diversi giovani, seguo anche un festival importantissimo che è il Festival pop di Trapani, un’esperienza per i giovani molto bella.»
Lei ha lavorato anche come attore, negli anni ‘60/’70, da cosa deriva la scelta di dedicarsi alla carriera prettamente musicale?
«È una scelta quasi obbligata, perché quando la vivi dentro e ce l’hai dentro è una scelta obbligata, non puoi farne a meno, è una cosa che fa parte di te. É poi anche una scelta “di servizio” perché oggi i giovani hanno dei grossi problemi. Una parte del mio tempo, con tutto il nostro staff, abbiamo deciso di dedicarla proprio ai giovani.
Stiamo poi producendo delle grosse colonne sonore per la Leone Film, Notorius. Anche quello è un ramo molto bello, dove esplode tutta la parte artistica, non solo relativa alla canzone, ma anche relativa proprio a un mondo. É un mondo di fantasia molto bello.
Tutto questo appaga tutti gli sforzi che si fanno per la musica.»
Si è mai pentito di aver abbandonato l’attività artistica in età adolescenziale?
«No, non mi sono mai pentito, perché a un certo punto, avendo già passato quel tipo di esperienza, era necessario qualcosa di molto più forte per vivere la musica, perché il bello della musica è che non si è protagonisti solo stando sul palco, ma anche stando dietro le quinte.
Il lavoro dietro le quinte è un lavoro molto affascinante, molto bello, ed è veramente un lavoro creativo, per cui non ho mai sentito la mancanza di dover poi rinunciare al palco.»
Lei è direttore artistico di molte iniziative in ambito musicale, nonché compositore e arrangiatore di colonne sonore e produttore artistico. Come crede si sia evoluta la musica nel corso degli ultimi anni?
«La musica nel corso degli ultimi anni si è evoluta come si doveva evolvere in realtà.
Si è tentato di portare un po’ di politica nella musica quando è la musica a poter parlare di politica, perché parla dei disagi che i giovani oggi hanno. La politica non può far altrettanto, non può parlare della musica, perché probabilmente essa è la causa dei disagi che i giovani sentono.
La musica si è evoluta proprio per il tipo di società. Fino agli anni ’80 i cellulari erano delle cose particolari, non tutti ne possedevano uno e non tutti potevano permetterselo, oggi invece sono alla portata di tutti e così come si evolve la tecnologia, così si evolve la musica. Quindi questi ragazzi trovano espressione in alcuni generi e raccontano il male dei loro tempi, e lo raccontano anche in maniera forse più violenta rispetto a prima, rispetto anche a quella che era la musica di contestazione.
L’effetto è sempre quello, di percepire qualcosa che non sembra musica, ma in realtà non è vero, non è così, è comunque musica.
Si deve trasformare tutto ciò che è nuovo per crescere, anche questa forma di musica relativamente nuova, parliamo qui del rap, parliamo della trap. Il rap si è evoluto moltissimo, in modo diverso rispetto al rap e pop degli anni passati. Ancora tutt’oggi ci sono moltissime influenze musicali, così anche come nel rap, che oggi presenta anche parti cantate.
C’è una continua evoluzione dei generi. Anche la trap avrà la sua evoluzione, anche nei testi, che oggi sono un po’ alla mercé di questi questi ragazzi, che stanno cercando un posto per emergere e che quindi dicono di tutto e di più.
Non bisogna prendere solo ciò che essi dicono, o come lo dicono, ma bisogna prendere il senso di questa cosa, cioè che sono ragazzi che necessitano di un posto nella vita. Oggi è diventato difficilissimo per i giovani avere un posto nella vita, un posto nel quale essere protagonisti, soddisfatti di ciò che fanno.
Molta dell’angoscia, della tristezza, dei racconti, spesso anche brutti racconti, riguardanti anche droghe eccetera, nascono non solo dall’atteggiamento, perché anche quest’ultimo deriva da una mancanza di un proprio posto da protagonista in una società in cui oggi è difficile averlo.
Per quanto riguarda poi l’influenza di altri generi, di cui ultimamente si è parlato tanto, nella musica, ci si lamentava addirittura che ci fossero delle frasi arabe, o delle melodie arabe, mi riferisco al vincitore di Sanremo. Ora, io dico, bisogna anche conoscere un po’ di storia della musica prima di fare alcune affermazioni.
Noi siamo stati, dall’epoca dei romani, quando la penisola italica ancora non si chiamava Italia, importatori. Dal tempo dei romani abbiamo importato la cetra dalla Grecia, il primo strumento in epoca romana.
Da lì nasce la musica popolare italiana, ossia la musica napoletana e la musica siciliana, che ha da sempre introdotto, anche nell’orientamento melodico, frasi mediorientali o arabe addirittura, nella napoletana, anche il modo di cantare, in Puglia ad esempio c’è l’influenza dei Balcani.
La scala araba è propria della musica classica. Nell’opera lirica, ad esempio in Madama Butterfly, abbiamo temi orientali su pentatoniche. Noi siamo stati i primi, forse, che hanno inserito nella musica occidentale i temi che non lo erano propriamente, ma che erano patrimonio del mondo.
La musica è patrimonio del mondo ed è un linguaggio universale.
É un peccato che volgarmente si vada a criticare proprio la nostra storia, una delle prime a notare questa universalità nel linguaggio della musica, lodando magari gli americani quando ascoltiamo Rihanna o Shakira che introducono temi africani o mediorientali, rubando cioè quello che noi abbiamo sempre fatto. Fin dall’ingresso della cetra nella penisola abbiamo creato un messaggio universale, che è poi quello giusto, il messaggio universale della musica, il linguaggio universale della musica.
Questo è il bello della musica»
Cos’è il Trapani pop festival e da dove nasce?
«Il Trapani pop festival nasce da un’iniziativa di un’associazione molto bella, che è oltretutto una di quella che ha esportato la lirica, ad esempio al Teatro di Cartagine, e quindi nel Mediterraneo. Questo è importante.
L’associazione si chiama Luglio Musicale Trapanese. Oltre alla lirica ha deciso, due anni fa, di dedicarsi anche alla musica pop.
Quindi fui chiamato proprio come direttore artistico di questo contest.
Per i ragazzi è un’esperienza indimenticabile. Vengono scelti dieci brani in tutta Italia, poi i gruppi, cantanti o autori, vengono invitati a questi sei giorni del festival, in cui fanno uno stage proprio sulla composizione della musica. Svolgono un vero e proprio corso sulla composizione della canzone. L’ultimo giorno, poi, insieme al gruppo che li segue durante il corso e ad un’orchestra di ventiquattro elementi, si esibiscono nella serata finale, poi ne esce una compilation.
La cosa bella è che loro in questi giorni non spendono nulla, vitto, alloggio, sono a carico dell’associazione che li ospita.
Passano sei gironi completamente immersi nella musica dalla mattina alla notte.
È un lavoro grosso, perché io mi trovo poi ad arrangiare dieci brani in poco tempo, avendo tempo da quando si chiudono le iscrizioni a luglio. È un lavoro grosso per tutti, che dà però moltissime soddisfazioni, i ragazzi sono davvero soddisfatti, alla fine sono davvero cambiati, anche perché oggi, purtroppo, c’è veramente poca gente che insegna come si fanno le canzoni.
Sono passati da me a Castrocaro migliaia di ragazzi. Ho chiesto loro la prima cosa che probabilmente si dovrebbe chiedere a chi vuole cantare o lavorare in musica, ossia “che cos’è una canzone?”. Nessuno ha saputo rispondere, mi hanno guardato tutti come se fossi un astronauta. Questi ragazzi non hanno realmente mai pensato a cosa stessero facendo.
Come a dire che per un falegname il legno sia legno, con cui fare tutti i tipi di prodotto. È vero, ma bisogna saper scegliere il legno da utilizzare per le produzioni.
Ciò significa che se non conosco la canzone farò quello che vedrò fare agli altri.
Siccome vince la personalità, se si conosce la canzone, pur non scrivendo, la si può scegliere, conoscendo anche sé stessi.»
Quale messaggio vuole lanciare ai giovani che vogliono intraprendere una carriera nell’ambito musicale?
«Se vogliono intraprendere una carriera nell’ambito musicale è necessario che essi conoscano la canzone in tutti i suoi aspetti, perché la canzone è ovunque. Sta nel rock, sta nel pop, sta nel jazz.
Cosa sarebbe il jazz se non avesse la melodia iniziale riconoscibile? Parliamo di quel che è definito tema. Nulla, una serie di improvvisazioni su scale.
È proprio il tema l’elemento di attrazione del jazz, quell’elemento in più, così come è nell’opera lirica, dappertutto, anche nell’opera classica, nei film.
I ragazzi dovrebbero veramente conoscere la canzone, sia dal punto di vista melodico, che dal punto di vista del testo, perché anche il linguaggio oggi è importante.
Tramite esso si possono esprimere meglio i messaggi che arrivano per non farli apparire tutti uguali. Anche questo è importante, è importante saper scrivere e saper riconoscere la scrittura.
Tutto questo però è possibile solo se si conosce la canzone.
Il primo passo da fare, prima ancora delle lezioni di canto, è veramente conoscere la canzone per tirare fuori la propria personalità, altrimenti non si sarà mai in grado di tirarla fuori.
Ai ragazzi dico che è giusto studiare, bisogna studiare anche tanto, ma bisogna rendersi anche conto che solo la voce intonata non vince quasi mai, ciò che vince è l’espressione di ciò che si sta dicendo, la riconoscibilità, il saper esprimere sé stessi attraverso la voce. Non a caso, i dischi più venduti non sono delle persone più intonate. Guardando Vasco Rossi, Zucchero, Jovanotti, Gianna Nannini, gente che ha venduto e, se non altro, continua a vendere il loro live in maniera davvero prepotente, non perché essi siano i più intonati in Italia, ma sono quelli che riescono ad esprimere più sé stessi rispetto ad altri, che magari sono anche più intonati.»
La redazione del XXI Secolo ringrazia sentitamente l’artista Gianni Errera per l’intervista concessa.