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Giambattista Marino, l’epoqué del Barocco

Giambattista Marino sta alla macrocategoria di età del Barocco parimenti a nomi quali Luis Gongorà e Baldasar Graciàn Spagna, Honoré d’Urfé in Francia solo per citare alcune tendenze come il preziosismo francese e il concettismo spagnolo. 

Marino nasce il 14 ottobre 1569, nella Napoli in cui il magister del fare letteratura è Torquato Tasso, ritornatovi per l’ultimo frangente della sua vita. 

Avviato senza decisive inclinazioni alla carriera d’avvocato, Giambattista Marino è novello aspirante con influsso appreso dal mondo delle accademie pullulanti nel mondo intellettuale e letterario italiano uscito dal clima controriformista, egli finse di studiare legge per dedicarsi alla lirica fino ad esser cacciato di casa.

Il rapporto con l’Accademia degli Svegliati, sita intorno alla personalità di Della Porta, frequentata dal 1588 con lo pseudonimo di “Accorto” lo lancia nel clima di piccole corti e personalità d’estrazioni nobiliari in cui non manca di farsi notare per una delle marche caratteristica del far poesia, che ne denuncia subitamente la musicalità.

Ad accattivarsi un posto nel clima letterario cortigiano napoletano e poi italiano è il gusto encomiastico, d’ascendenza tassiana capace di sposare in pieno il classicismo virgiliano e ovidiano divenuti predominanti già nella lunga elaborazione del canovaccio mariniano delle “Rime” edite nel 1602 per la prima volta.

La grandezza del Marino muove anche intorno ad opere che ne fanno un fruitore di qualsiasi tendenza si avvenga ad esser scoperta nel coacervo letterario cortigiano italiano del Seicento, come si evince dalla capacità ekphratica dimostrata con La Galeria, mero catalogo in cui nomi all’avanguardia di opere d’arte e di artisti es. Caravaggio appaiono filtrati dal gioco di metafore avvolgenti al culmine della perdita estasiatica del suo verso.

Ad accumunare infatti alcuni degli astri del periodo come Miguel Cervantes e Caravaggio al Marino è l’elemento picaresco, ovvero una vicenda biografica e artistica che non solo è vincolata di spostamenti per la realizzazione della carriera artistica e intellettuale presso potenti e papi, anche oltre i confini e da episodi di mera cronaca a tinte fosche, come omicidi, arresti e accuse da parte dell’opinione pubblica e religiosa.

Proprio l’opera di una vita del Marino, L’Adone edita nel 1623, le cui testimonianze annoverano una gestazione ultradecennale, con riferimenti ad invenzioni come il cannocchiale di Galileo Galilei, al contemporaneo, con una trama fatta di particolari atti ad ampliare la trama di episodi a latere e fonti innumerevoli che coniugano intorto ad un mito di recente scoperto d’ascendenza ovidiana ma semisconosciuto nell’Occidente delle guerre di religione, in cui la sfumatura erotica viene bollata dal clima controriformistico e dalla rivalità di altri nomi minori del mondo lirico italiano coevo.

L’Adone verrà aggiunto definitivamente all’Indice dei Libri proibiti da papa Urbano VIII, facendo compagnia a nomi quali Boccaccio, Machiavelli, De Monarchia di Dante e di lì a poco anche Galileo Galilei.

Ciononostante l’influenza di Giambattista Marino sarà coronata nel divenire un mero caposcuola di una tendenza e di un’opposizione capitanata che sfocia ai limiti della faziosità, tra marinisti e antimarinisti, come Gabriello Chiabrera e Giacomo Lubrano, grazie all’usufrutto portato al limite dell’enumeratio e degli strumenti della retorica.

Allo stesso tempo gli attacchi culminarono in sviluppo di nomi del panorama della letteratura dialettale napoletana, capaci di adottare il Marino e i marinisti con toni parodici al limite della dissacrazione dei contenuti e delle situazioni liriche con personalità come Giulio Cesare Cortese nel Micco Passaro Nnammurato.

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."