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De Stefano, un giornalista engagé al vero

Gennaro de Stefano si spense circa 12 anni fà, il 1 maggio 2008, dopo un’esistenza combattuta con l’episteme e con la voce data alla recherche del Vero, attraverso le testate giornalistiche del suolo italiano, facendo valere il 21esimo principio della Costituzione italiana. 

Gennaro de Stefano è partenopeo, figlio di napoletani di Portici strappati dal suolo natio per necessità lavorative, formandosi tra Lazio e Abruzzo. La propensione al giornalismo s’avvia nell’età liceale, in cui prende luogo l’attività freelance, che si dirama nelle piccole testate romane e laziali.

Il boom di de Stefano, nel mondo dell’editoria, avviene a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, divenendo uno dei protagonisti di quotidiani, come L’Unità, dove collabora tra il 1975 e 1980, e riviste, come Oggi, Gente, e collaborando con personalità, quali Paolo Occhipinti e Pino Aprile.

La firma di de Stefano è stata protagonista dei massimi episodi di cronaca nera più efferata e che, maggiormente, ha fatto pensare e destare l’opinione pubblica italiana, tra la fine degli anni di piombo e l’età di Bettino Craxi, come il caso del “Mostro di Firenze”, curando il memoriale di Pietro Pacciani, Il “Mostro di Foligno”, fino al delitto di Balsorano, che vide protagonista Michele Peruzza, nel 1990, restandone direttamente coinvolto.

Nel 1992, infatti, de Stefano era a capo del settimanale Visto, presso cui lanciò il Je Accuse alla giustizia italiana, recriminando la riapertura delle indagini per l’efferato delitto Balsonaro, a causa delle numerose falle riscontrate e reclamando l’innocenza dell’imputato Peruzza.

Le accuse del de Stefano divennero determinati alla creazione di un sotterfugio ordito da alcuni esponenti della polizia, i quali nascosero, per ordine di un funzionario del commissariato di Avezzano, della cocaina presso il suo veicolo. La trama ordita venne, nell’arco di un anno, scoperta e il giornalista scagionato.

Il ruolo di personaggio dell’opinione pubblica scomodo del de Stefano non venne arrestato da quell’episodio, ma ritrovò linfa. Tra gli anni 2000, egli fu protagonista di scoop giornalistici di alto livello nazionale, in cui il mero atomo male del quotidiano prendeva forma in maniera anche dostoevskiana, come ne Il delitto di Cogne, reso immortale con il reportage su Anna Maria Franzoni, “La Verità”, divenuto il best-seller L’uomo di Cogne; ultimo grande successo giornalistico, prima di trovare riposo, è stato quello legato all’arresto del superboss Bernardo Provenzano.

La grandezza e l’etica di una personalità come de Stefano è stata riconosciuta anche dall’Ordine dei Giornalisti, che insignì del titolo di professionista al rinomato pubblicista venuto da Portici.

Domenico Papaccio
Domenico Papaccio
Laureato in lettere moderne presso l'Università degli studi di Napoli Federico II, parlante spagnolo e cultore di storia e arte. "Il giornalismo è il nostro oggi."