Innumerevoli sarebbero i titoli per designare la figura e la personalità di Gabriele d’Annunzio, tra gli intellettuali italiani che a cavallo tra la fine dell’età umbertina e l’avvento del fascismo ha racchiuso un epoca, alla cui persona la stessa etichetta di dannunzianesimo starebbe stretta.
D’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo del 1863, origini borghesi, formazione collegiale e alla “nunziatella”, l’approdo a Roma sancisce l’incipit della carriera letteraria e giornalistica. Autore di testi quali Il Piacere, Canto Novo e soprattutto l’Acyone, e di articoli in cui discute delle novità culturali di respiro europeo, come Nietzsche, Wagner, costituisce un pioniere della nuova forma letteraria italiana, in versi e in prosa oltre che uno svecchiamento dei canoni imperniati sui modelli Carducci-Manzoni.
Nella vicenda del d’Annunzio, però, a partire da una branca della critica dannunziana che fa capo a Federico Ronconi e Paolo Alatri, la presenza di una posizione politica che progressivamente si concretizza con l’avvento della grande guerra e successivamente con la crisi del sistema liberale parlamentare del primo dopoguerra.
Secondo una mera scuola storiografica dannunziana, che va da Nino Valeri a Renzo De Felice, fino ai moderni studi intorno alla cerchia del Vittoriale, capeggiati da Annamaria Andreolli e Giordano Bruno Guerri, è stato oggi possibile rintracciare un d’Annunzio politico e soprattutto libero dagli stereotipi del fascismo.
D’Annunzio costituisce il prototipo per il futuro modello del capo, del duce, è il creatore dei canoni della nuova politica di massa, una massa che emersa definitivamente dalla guerra non si riconosce più nei vecchi valori e nelle vecchie figure delle élites politiche, capeggiate in Italia da Giolitti.
Gabriele d’Annunzio si fece portavoce dello status comune presente in Italia, della cosiddetta “piazza”, che aveva creato poco prima con l’avvento dell’ingresso in guerra con il discorso di Genova nel “maggio rarioso” del 1919.
Il d’Annunzio Comandante di Fiume, quindi, con il suo discorso dal balcone, adunate, i motti e momenti di mera teatralità drammatica, costituisce un modus operandi per il fondatore dei fasci di combattimento Benito Mussolini, le cui strade soprattutto in questa fase della storia d’Italia erano molte distanti. Lo stesso Renzo De Felice ha osservato come la vicinanza fu funzionale inizialmente ad entrambi, in quanto Mussolini fu un veicolo dei tanti articoli del Vate, mentre lo stesso direttore del Popolo d’Italia ricercasse appoggio dal poeta per accrescere il sostegno al nascente movimento sansepolcrista.