Gabriele D’Annunzio è nato a Pescara, nel Marzo 1863. È stato uno dei più degni di menzione e considerevoli letterati italiani, attivo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Il “Vate”, come è stato soprannominato, a sottolinearne il carattere distintivo di “sacro poeta” dell’Italia post-risorgimentale, approfittò della sua fama artistica per affermarsi in campo politico. La sua figura politica ebbe spesso un aspetto dai bordi irregolari, vedendolo ondeggiare tra destra e sinistra. Quando venne eletto deputato della destra, infatti, non tardò ad avvicinarsi al Partito socialista. Nel 1910 confluì verso il gruppo dei nazionalisti, coltivando relazioni con intellettuali ed esponenti del mondo libertario, anarchico-sindacalista, e futurista.
Gabriele D’Annunzio era soprattutto un fervente interventista, un uomo d’azione. Fu un movimentista volontario nel corso della Prima Guerra Mondiale, e strinse un consolidato rapporto amicizia con Benito Mussolini. Tuttavia, tra i due, i rapporti denotarono sempre una certa ambiguità, poiché il regime imposto da Mussolini non vide mai di buon occhio D’Annunzio, temendo che quest’ultimo potesse agire di propria iniziativa, adombrandone il potere grazie all’enorme carisma che lo caratterizzava, oltre che al prestigio ed alla popolarità di cui godeva, anche in ambito strettamente fascista.
GABRIELE D’ANNUNZIO E L’IMPRESA DI FIUME
Gabriele d’Annunzio si mise a capo di alcuni reparti militari, “legionari”, ed occupò la città di Fiume (oggigiorno facente parte della Croazia, “Rijeka“), rivendicandone il conglobamento all’Italia per via del fatto che la maggior parte degli abitanti all’interno centro urbano parlasse l’italiano, nonostante gli accordi del 1915 non ne prevedevano il passaggio sotto la sovranità del Regno sabaudo, all’estinguersi della Prima Guerra Mondiale.
La fine del conflitto aveva assistito alla disgregazione dell’Austria-Ungheria, e la genesi della Jugoslavia. Conseguenzialmente, si promuoveva un contenzioso tra Roma e Belgrado sul confine orientale, in specie su Fiume e sulla Dalmazia, che la conferenza internazionale di pace non aveva dipanato. D’Annunzio provò a sbrogliare il nodo a fil di spada: la sua fu un’azione ad aspirazione nazionalista ed imperialista, ma soprattutto avente l’intento di sconvolgere l’assetto del governo in carica, diretto dal liberale di sinistra Francesco Saverio Nitti. Benché, al tempo, Benito Mussolini incoraggiò l’impresa della Marcia su Fiume a parole, in sostanza non mosse un dito. Il Governo Giolitti, al raggiungimento di un’intesa con la Jugoslavia attraverso il Trattato di Rapallo, sgombrò d’Annunzio dalla città con la forza, nel Natale del 1920.