Estetica: [estètica] sostantivo femminile, dal latino moderno aesthetica (coniato da A. G. Baumgarten, 1735), femm. sostantivato del gr. αἰσϑητικός: v. estetico.
- Letteralmente, dottrina della conoscenza sensibile (sign. che il termine ha ancora in E. Kant: E. trascendentale). Nel sec. 18°, con senso specifico e tecnico, dovuto al filosofo tedesco A. G. Baumgarten, la dottrina del bello, naturale o artistico, e quindi l’esperienza del bello, della produzione e dei prodotti dell’arte. Più in partic., la concezione filosofica dell’arte, che caratterizza un periodo storico, una civiltà, l’opera di un artista, il pensiero di un autore, di un filosofo: l’e. dell’umanesimo, del Cinquecento, l’e. platonica, manzoniana, brechtiana; o gli scritti di estetica, cioè l’opera o le opere, in cui singoli pensatori si occupano sistematicamente del fatto estetico: l’e. hegeliana, l’e. crociana. Anche la disciplina filosofica, e il suo insegnamento nelle università, altrimenti detti filosofia dell’arte.
- Senza un diretto riferimento all’esperienza artistica, la parola è passata anche nel linguaggio com. per indicare l’aspetto e i caratteri soprattutto esterni di oggetti, prodotti, operazioni suscettibili di essere considerati esteticamente; per es., e. del disegno industriale; e. dell’automobile; con tale sign. è usato più spesso l’anglicismo design, che, assieme alle locuz. art design, industrial design e styling design, indica anche il settore che se ne occupa; acquista anche, in più casi, il sign. di «bellezza esteriore, bell’aspetto, struttura armonica» e sim.: migliorare l’e. della facciata di un palazzo; un brutto monumento che sfigura, o àltera, tutta l’e. della piazza; l’e. dell’abbigliamento; e. del corpo, e. facciale. 3. Disciplina e pratica volte alla cosmesi e alla cura del corpo: centro, istituto di estetica.
- Da vocabolario Treccani online
L’estetica è una disciplina filosofica specifica che nasce alla fine del Settecento. Delineandosi come un fenomeno pressoché moderno, risulta essere una sorta di tentativo di fornire una legittimazione universale ad un ambito che non era ancora divenuto oggetto di riflessione sistematica.
Sono poste, per la prima volta, in primo piano la soggettività con tutte le sue manifestazioni, riservando particolare attenzione per il sentimento individuale. Quest’ultimo, sconosciuto fino ad allora, viene identificato, dal punto di vista filosofico, come fonte delle emozioni, a scapito dell’antichità dove invece a governare queste espressioni dell’interiorità umana risultava essere la nozione di passione, ampiamente utilizzata in tal senso ancora fino a tutto il Seicento.
Dal Settecento nasce il sentimento moderno, che indica il riflesso soggettivo che accompagna ogni nostra esperienza e si configura come terzo ambito fondamentale della nostra vita spirituale, accanto ad intelletto e volontà, nozione completamente scevra da ogni connotazione di ordine psicologico che trova il suo terreno di applicazione unicamente in ambito estetico e morale.
L’estetica filosofica nasce quindi come vera e propria critica ad un settore che sembra essere destinato all’accidente e all’irrazionalità, con l’obbiettivo di dettare le condizioni di universalità e di necessità per un tipo di esperienza che, ad una prima analisi, ne è priva.
Ma parlare di estetica solo in chiave filosofica sarebbe riduttivo. Esiste infatti un’altra accezione per il termine estetica, che riguarda la fenomenologia moderna.
L’estetica come fenomeno moderno si sviluppa in un’area culturale circoscritta e ben identificabile, quella tedescofona, nella quale, alla fine del Settecento, si vive un vero e proprio slancio culturale, grazie all’operato di autori letterari, tra i quali ricordiamo Goethe, Novalis, Schiller, Hölderlin, e musicali, tra i quali vanno citati Mozart, Beethoven, Schubert.
A contribuire a quello che è il fenomeno di radicamento culturale è anche la società, la quale sviluppa una precisa e chiara esperienza artistica, riuscendone a cogliere il significato da un punto di vista sociale. La nascita dell’estetica filosofica è legata a doppio filo con il momento nel quale si delinea, in modo definitivo e stabile, la figura dell’artista come soggetto in grado di produrre le opere d’arte.
L’artista diventa quel particolare tipo di persona in grado di dare la luce ad una determinata tipologia di oggetti che vengono concepiti sotto la comune categoria della qualità estetica.
All’interno del mondo greco, romano e medievale, l’attività artistica è sempre rimasta estranea a qualsiasi teoria estetica, fino al Rinascimento, epoca a partire dalla quale si verifica una vera e propria presa di coscienza in tal senso.
Ovviamente, epoche e civiltà precedenti il Rinascimento non sono state incapaci di produrre opere d’arte valide come quelle realizzate negli ultimi quattro secoli, ciò che mancava costoro era semplicemente la mera categoria di arte come noi la conosciamo e la pratichiamo oggi.
Questa inconsapevolezza potrebbe essere additata come un vero e proprio limite negativo dal punto di vista culturale, tanto da portare i più recenti studiosi dell’estetica a chiedersi se l’arte come attività distinta dalle altre attività dell’uomo non sia il frutto di una specifica forma di “alienazione”, una conseguenza cioè di quel processo di divisione del lavoro che viene visto come motivo di lacerazione dell’integrità dell’esperienza, sia sul piano individuale che su quello sociale.
L’origine dell’estetica moderna è poi anche scandita da un ulteriore fenomeno, la nascita del museo, una struttura distinta da quelle precedentemente volte alla raccolta e all’esposizione di opere d’arte varie, che non ricalca più l’interesse del singolo, tantomeno di un singolo gruppo di persone, ma si basa su quelle che sono le caratteristiche, terreno di studio della disciplina estetica stessa.
Si veda quindi sempre questo maggiore zoom riguardo un particolare dettaglio, si sta passando da quello che è un macrocosmo culturale, nel quale non esisteva una caratterizzazione artistica, ad un microcosmo, nel quale l’estetica riguarda la fenomenologia del bello.
Oggi si abusa moltissimo di quest’ultimo concetto, tanto da aver ridotto l’estetica ad una mera ricerca di ciò che è bello, di ciò che piace, lasciando decadere il carattere universalistico fenomenologico della disciplina stessa. L’esasperata ricerca di ciò si ripercuote anche nella società contemporanea, dove il senso dell’estetica stessa risulta essere mutato e fortemente compromesso.
Se grandi teorici come Tatarkiewicz, teorizzano una contrapposizione fra belle arti, ossia quelle che si rivolgono direttamente ai sensi del fruitore, e poesia, la quale opera invece mediante segni linguistici, identificando come un processo naturale l’esistenza di concezioni estetiche diverse e per certi versi contrapposte, le prime mettono in evidenza le immagini sensibili e le seconde propongono invece simboli intelligibili, questo ragionamento resta accademico e lontano dal senso che ormai la società, che abbiamo visto essere la creatrice prima dell’estetica, attribuisce al fenomeno nel linguaggio comune.