“Easy Rider” è un film uscito il 14 luglio 1969, diventato sinonimo di libertà grazie all’interpretazione di Peter Fonda e Dennis Hopper in un viaggio su due motociclette lungo le strade della California.
Il film fu il frutto più prezioso di una covata di opere dedicate alle moto e al desiderio di libertà, una serie che includeva anche I selvaggi (1966) e Il serpente di fuoco (1967), dirette da Roger Corman, film che in qualche modo avevano piantato semi destinati ad essere coltivati da Hopper.
L’ambientazione è quella degli anni Sessanta, caratterizzati da: per le donne la rivoluzione sessuale, santificata dalla commercializzazione della pillola contraccettiva nel 1960 (che diede vita ad un lungo, e non sempre lineare, percorso di autocoscienza), per la società Peace & Love, ma anche molta violenza, che portò via alcuni dei personaggi più emblematici del Novecento americano: John Fitzgerald Kennedy e il fratello Bob, Martin Luther King, Malcolm X.
E mentre nel 1969 l’uomo camminava sulla Luna, in Vietnam migliaia di giovani morivano in una guerra assurda.
Frutto della cultura giovanile degli anni Sessanta, è anche la diffusione sempre più rilevante del fumetto, attraverso cui i suoi storici autori entrano a far parte dell’immaginario collettivo e determinano in modo irreversibile la cultura popolare.
Non a caso, il soprannome del protagonista di Easy Rider è Capitan America, dall’iconico eroe Marvel nato nel 1941 dalla mente di Jack Kirby e Joe Simon.
Ma che fine ha fatto oggi il magnifico trio di Easy Rider? Dennis Hopper è scomparso nel gennaio del 2007 dopo una lunga malattia, Peter Fonda è morto invece nel 2019 (recuperate la sua biografia, Don’t Tell Dad, non dirlo a papà, Henry in questo caso, altra leggenda) e Jack Nicholson si è ritirato ormai da dieci anni e vive nella sua mansione di Beverly Hills facendosi vedere poco, anzi pochissimo.
Di Easy Rider però rimane ancora molto in questi tempi frettolosi e digitali, in cui tutti parlano senza fondamentalmente dire nulla:
«E bada, non dire mai a nessuno che non è libero, perché allora quello si darà un gran da fare a uccidere, a massacrare, per dimostrarti che lo è. Ah, certo: ti parlano, e ti parlano, e ti riparlano di questa famosa libertà individuale; ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura».
Proprio in virtù dell’importanza dei suoi temi, Easy Rider ha subito conquistato il titolo di cult generazionale.
Nel documentario del 2004 A Legacy of Filmmakers: The Early Years of American Zoetrope, George Lucas ha parlato del film di Hopper come di uno spartiacque che le major del cinema non hanno potuto ignorare per capire come parlare ai giovani.
Dalla colonna sonora, il cui successo ha quasi travalicato la fama del film, alla maniera disincantata di parlare di amore libero, droga e società, Easy Rider racchiude tutta l’essenza del 1969.
Finalmente i ragazzi che andavano al cinema hanno goduto di un prodotto artistico in grado di parlare il loro linguaggio, con dei personaggi in cui identificarsi e con un dramma che tutti possono sentire proprio.
Da quel momento si inizia a parlare di Nuova Hollywood, che accoglie nel suo pantheon le firme più note del cinema americano di tutti i tempi; la rivoluzione di Lucas, Hopper, Altman, Scorsese, Coppola e gli altri passa per il linguaggio, per la nuova varietà dei temi e per il coraggio di parlare di sesso, violenza, droga, oppressione di genere e razza, inquietudine.
Da questo momento in poi i giovani, folli e disperati artisti di Hollywood si armano di camera e iniziano a raccontarsi: un nuovo capitolo è iniziato e corre su due ruote lungo tutta l’America.