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Dorando Pietri: quando fatica e sfortuna ti regalano una vittoria ma non la medaglia

Non sempre tagliare il traguardo equivale ad una medaglia, non sempre perderla equivale ad essere dimenticati, è il caso sicuramente di Dorando Pietri.

Pietri è un atleta italiano che nel 1908 passò alla storia per aver tagliato il traguardo della maratona olimpica di Londra, ma per aver perso la medaglia dopo successiva squalifica, scopriamo insieme perché.

Dorando Pietri, esausto, impiegò circa 10 minuti a percorrere gli ultimi 500 metri della maratona  e pochissimo prima del traguardo i giudici lo aiutarono a stare in piedi e avanzare, questo gli costò squalifica e medaglia. In quel momento fu scattata una foto che è ancora oggi famosissima.

Dorando Pietri: storia di un atleta di altri tempi

Nato in una frazione di Correggio, a Mandrio, Dorando iniziò a correre allenato dal fratello Ulpiano.

Il suo talento era il giusto mix tra una grande forza di volontà e voglia di riscatto.

Questo connubio lo portò a diventare il simbolo dei tanti italiani di umili origini, che hanno contribuito a far grande il nostro Paese con la fatica, il coraggio e il sudore della fronte.

La storia racconta che Pietri fosse tra il pubblico quando, nel 1904, a Carpi, gareggiò Pericle Pagliani, il più forte podista di quegli anni, ma soprattutto si racconta che fosse lì con gli abiti da lavoro ancora addosso, e si fosse messo a correre dietro di  lui, tenendogli il passo.

Poi arrivarono le gare, le vittorie, fino all’approdo a Londra, al sogno dei sogni: le Olimpiadi. È qui che Pietri si rivelò essere il più forte di tutti. Dove gli altri non avevano più fiato né forze, lui resisteva. Dove gli altri si arrendevano, lui insisteva.

La maratona del 1908: la corsa leggendaria

Alla partenza – alle 14.30 del 24 luglio 1908, dal castello di Windsor – c’erano 56 atleti, le temperature erano infuocate.

Dorando Pietri era il più basso tra i partecipanti  con il suo scarso metro e sessanta e i suoi  60 chili .

Le cronache di allora raccontano di un Pietri partito con il “freno a mano tirato”, per conservare le energie.  Circa a metà gara cominciò a recuperare posizioni sugli altri atleti, che avevano seguito il ritmo alto imposto dai corridori inglesi.

Fu un costante risalire posizioni sino a portarsi  nelle prime posizioni sino a scoprire verso la fine, grazie a persone che in bici facevano avanti e indietro tra i vari corridori, che il primo della gara, il sudafricano Charles Hefferon, stava cedendo.

 Durante la fase finale l’atleta cadde per ben cinque volte, ritrovando sempre la forza di rialzarsi.

Corse fino allo sfinimento, a tal punto che, per l’immensa fatica, la mente a un certo punto gli si annebbiò, e si confuse rischiando persino di sbagliare strada. Dopo aver tagliato il traguardo barcollando, col volto trasfigurato dalla fatica e dalla soddisfazione di avercela fatta, sorretto da un giudice e un medico, svenne e fu portato via in barella.

A quel punto la squadra dell’americano Johnny Hayes, arrivato secondo, fece ricorso: il corridore italiano era stato sorretto, dunque aiutato, e pertanto l’ordine di arrivo andava rivisto. Fu così che Dorando Pietri venne squalificato.

Il riscatto e la legenda

La grandiosa impresa fece il giro del mondo sin da subito.

Pietri divenne una celebrità, e quella leggendaria maratona ne decretò il mito, in Italia come all’estero.

La stessa regina Alessandra, come una sorta di ricompensa per la vittoria e la medaglia d’oro negata, donò al corridore una coppa.