Giuseppe Diana nacque a Casal di Principe, cittadina non molto lontana da Aversa in provincia di Caserta, il 4 luglio del 1958.
Ad Aversa egli intraprese i suoi primi studi, per poi proseguire nel seminario sito a Posillipo, presso la sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale.
Si laureò in Filosofia all’Università Federico II di Napoli, nel 1982 fu ordinato sacerdote, per poi iniziare, nel 1978, a far parte dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (Agesci) divenendone caporeparto.
Il 19 settembre 1989 divenne parroco della parrocchia di San Nicola di Bari, presso Casal di Principe, in contemporanea insegnava in due licei, un istituto tecnico industriale statale e in un istituto alberghiero.
La sua lotta contro la camorra inizia proprio tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, anni in cui i clan casalesi controllavano già la maggior parte dei traffici illeciti.
A scrivere le sue sorti di proprio una sua predicazione, resa poi anche in forma scritta, pubblicata il giorno di Natale dell’anno 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe, nonché della zona.
Egli descrisse la camorra come “una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana…(gestisce) traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato”.
Queste furono le cause che portarono al suo omicidio, avvenuto nel giorno del suo onomastico, il 19 marzo 1994, alle ore 7.20 del mattino.
Cinque proiettili lasciarono Don Peppino Diana riverso al suolo all’interno della sacrestia della sua chiesa, dove era intento a prepararsi per celebrare la funzione.
Due colpi alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo, l’omicidio sconvolse tutta la comunità ecclesiastica, appena un anno prima a Palermo si era consumato un simile delitto, che diede la morte a Don Pino Puglisi.
Fu chiaro che la mafia non avrebbe risparmiato nessuno.
L’allora pontefice, Giovanni Paolo II, volle commentare l’accaduto durante l’Angelus del giorno successivo, denunciando pubblicamente l’accaduto e manifestando il proprio cordoglio.
Al suo funerale, svoltosi il 21 marzo, presero parte oltre 20mila persone, tra cui tutti i gruppi scout e gli alunni delle scuole dove insegnava.
Numerosi tentativi di depistaggio avvennero durante le indagini avviate poco dopo, molti tentarono di screditare l’immagine del parroco.
Per l’omicidio venne condannato all’ergastolo, come mandante dell’assassino, Nunzio De Falco, che cercò di accusare il clan rivale degli Schiavone, accusa che non tenne grazie a Giuseppe Quadrano, autore materiale dell’omicidio, condannato a 14 anni.
Il 4 marzo 2004 la Corte di Cassazione condanna Mario Santoro e Francesco Piacenti all’ergastolo in quanto coautori dell’omicidio.